Racconto di Francesco di Venuta
FRANCESCO DI VENUTA

Donne

A sedici anni voleva una donna, ne aveva bisogno più del pane. Il pane non abbondava, le donne ancora meno. Poca terra, pochi animali: due capre, due vacche, i due buoi dietro i quali e dietro l'aratro il padre usciva per i campi, alle semine e ai maggesi. Ma erano più i giorni che passava su quel fazzoletto di terra loro e su quell'aia, senz'altro rimediare che i “vaffanculo” della moglie.
Su quell'aia c'era venuto su anche Rocco.
Con quella musica pure lui nelle orecchie e giocattoli in testa, quelli sognati, quelli visti in mano agli altri o che s'era mangiato con gli occhi dietro la vetrina di Giuliano. In compenso, però, ne aveva fantasia; e uno sguardo gli bastava, un trattore di passaggio, una trebbia.
All'inizio gli era bastato anche con le donne. Per strada, le insegnanti alle medie, le donne che venivano a raccogliere ulive. Piegate nei solchi, sempre c'era un colpo di vento, sempre veniva estate a scoprire di più il petto e le gambe. Ma adesso non più. Una sorda rabbia lo prendeva al caprone, che neanche a due anni scendeva da una femmina per salire su un'altra; al vitello, che di anni ne aveva ancor meno, e già l'aveva provata, magari quella di sua madre...
Magari con la madre ci sarebbe andato pure lui, tanta voglia che aveva, tanto più che quella non era sua madre, bensì la seconda donna del padre, ma lui aveva passato dodici anni a domandarsi: guarda un po' che razza di mamma doveva capitarmi... Vedeva le altre, le mamme dei coetanei così tenere e comprensive, e questa invece picchiava, gli gridava dietro “chi t'è muortu”, veniva alle mani col marito, con Francesco.
E proprio Francesco, il fratello maggiore, glielo disse una sera, alla fine della litigata quotidiana, alla fine della sua storia laggiù: “Io ne ho fin sulle palle di questa troia, di questa vacca. Me ne vado».
Una troia, una vacca. Si poteva parlare così di una madre?
«Ma che madre! Nostra madre è morta quando sei nato tu».
Si sentì morire anche lui.
Come un gelo gli venne giù dalla testa, alle spalle e alle costole... già all'altezza dello stomaco s'era fatto qualcos'altro, come un crampo dapprima, poi sollievo, libertà. La libertà di odiarla senza sentirsi in colpa. Libertà di pensarla a gambe larghe.
Pensare soltanto. Immaginare.
Perché una donna, non diciamo posseduta, non diciamo vista nuda, neanche a una foto, a un disegno poteva afferrarsi... Erano anni grami, i primi anni Sessanta. Di là da venire il tempo del sesso a buon mercato. Di culi e gambe a ogni angolo, di edicole stracolme di riviste e cassette. Quali film a luci rosse, spogliarelli in TV, senza aspettare le ore piccole? Quale TV? Laggiù non c'era ancora, non c'erano neanche le classi miste.
Le classi che frequentò lui, non ne parliamo. In quelle aule fredde e coi cappotti addosso, femmine e maschi erano mondi a parte.
A parte, le stesse entrate. Lì davanti, prima che suonasse la campanella, i più svegli riuscivano a scambiare due parole, facevano fianco a fianco l'ultimo tratto a piedi, ma lui no; lui che a solo guardare una donna si sentiva mancare, lui era venuto su masticando rabbia, bastonando il caprone, i vitelli... Eppure un tempo c'era stato chi gli aveva voluto bene, più alle bestie che a se stesso. A mucche a capre al cane - il solo con cui parlava nei lunghi pomeriggi sul fiume - e ancor più ai piccoli, che poi i mercanti erano venuti a prendersi o il macellaio glieli aveva sgozzati proprio sotto gli occhi...
A chi poteva voler bene, del resto?
A scuola era un inferno.
Al posto della penna e del gesso, il maestro adoperava bacchetta e staffilo. Penna e gesso dovevano usarli loro, gli allievi, e bene, se no le mani, all'uscita, erano tutte chiazze e bolle, bernoccoli in testa e lividi sul corpo.
Per cominciare, cominciava col figlio, messo in quella classe per dare l'esempio. Se non risparmiava il figlio, ch'era carne della sua carne, potevano loro immaginare cosa aspettava mani estranee, facce e didietro...
La testa in mezzo alle gambe - alle sue gambe come una morsa, una tagliola - e botte sulle spalle, sul culo, un po' dove capitava, anzi niente poco, parecchio, per tutta la mattina...
Aspettavano l'uscita come s'aspetta il sereno. Gli altri, forse. Ma Rocco no, perché a casa lo aspettava di peggio.
Una donna ch'era una peste, neanche un piatto preparato, un tozzo di pane e via dietro agli animali, a stringersi al cane, al capretto...
Poi all'asina, a una mucca.
Quand'era stato più forte - più forte del bisogno di tenerezza - quel prurito laggiù, e all'immagine di una madre, di un volto comprensivo, s'era sovrapposto altro, labbra carnose, gambe, culo, sesso, che gli facevano inferno il giorno e la notte e duro quell'affare da non sapere più dove ficcarlo, aveva cominciato con l'asina, la mucca, con la scrofa.
Adesso le bestie le odiava. E dopo più ancora. Una volta andata la voglia, gli tornavano in mente strane ossessioni, la paura che la scrofa, l'asina, la mucca figliassero mostri, mezzo bestie mezzo uomo; pensava al minotauro, Pasifae che s'era fatta riempire dal toro, mischiava tutto, vita leggenda mito e, su tutto, la vergogna che in questo modo lo scoprissero... su tutto il desiderio che tornava di nuovo e di nuovo si diceva: «Questa è l'ultima volta. La prossima è una donna».
Ma dovette passare molto tempo. Lo chiamarono alla visita di leva e il pomeriggio, preso coraggio, salì verso vicolo Barbuti. Tant'era la voglia - ma più che voglia era impellenza, fisiologica necessità di dirsi: «L'ho fatto, l'ho vista, l'ho provata», tanta smania, accecamento, che la prima, ferma all'imbocco... guardò il corpo, le gambe, neppure ne vide il volto, disse:
«Quant'è?».
Non venne risposta e dovette alzare gli occhi. Gli occhi di lei erano rossi, erano fiamma. Neanche c'era bisogno di parole, che pure vennero a... scomodare la sorella, la tariffa doveva chiederla a lei.
Rocco svicolò e non uscì che a buio fatto. Adesso, però, non c'era da sbagliarsi e un corpo l'ebbe...
Anche giovane, rotondo, sodo. Ma la penombra in cui tutto avvenne, la fretta, lo scarto tra l'attesa - attesa di anni - e i risultati, non riuscì a riempirlo né quella volta né dopo. Neanche quando tornò da militare, dai tanti tentativi nei postriboli...
Prese moglie, la prendeva ogni sera e più che voglia era ossessione adesso, ossessione di sentirla, possederla...
Ma nonostante l'affannarsi suo su quel corpo, nonostante i figli.
I figli, quell'affare non furono ponte...
Malia Dal Colle restò un'estranea, restò quella che era. Arcigna, dura, tutta lavoro e soldi; calcolava a tempo il bere e il mangiare, il sesso, il sonno, non c'era tempo da sottrargli... Godeva, lo faceva godere in fretta - tipo coniglio o gallina - lo cacciava di dosso, lo cacciava presto per i campi.
E dopo - a letto o nei campi - lui che cercava non solo una moglie o un'amante, ma più una madre, una che lo tenesse stretto come mai lo avevano tenuto, lui pensava alla madre, morta per dargli la vita, morta a causa sua, e queste erano venute - la matrigna e la moglie - erano venute a fargliela pagare, a rovinargli la vita, mentre rovinavano la loro...
La vecchia attaccava con minestra rubata, con l'olio, la pezza di formaggio. All'altra - che era neanche entrata in casa e voleva far la padrona - una gallina era mancata, la sottoveste appesa. Poi erano fichi, ulive - gli ammanchi cambiavano a stagione - erano il diavolo, il caldo, le corna di tutte e due. Il colmo lo toccavano a ogni accenno di malanno.
Toccasse all'una o all'altra, a padre, madre, fratello, facevano a gara a chi mandava più bestemmie.
La vecchia non scherzava, forgiata dagli anni e dall'amica fattucchiera. Ma dietro l'altra c'era la madre e non le era da meno. Scendeva a patti col diavolo, coi santi, coi ferri del chirurgo... La suocera sotto i coltelli e lei a pregare notte e giorno, che lasciasse presto l'ospedale, venisse dritta al... Camposanto.
Venne invece dritta a casa, ancora più fiele in corpo...
«Tu guarda un po'! Ce ne sono di donne buone (almeno stando a ciò che sentiva dire). E proprio a me 'ste due».
E delle due qual era la più bestia, Rocco se lo chiedeva spesso. Tutto il giorno a rodersi, a aggiungere a togliere dalla bilancia, per concludere ogni volta che la bestia vera era lui, lui che lasciava dire fare e non le prendeva un giorno tutte e due. Ma la sera, rientrando, il bambino - l'ultimo - gli sorrideva, gli tendeva le braccia...
Poteva farlo crescere senza nonna, senza padre, senza mamma?
Non ci pensava più. Pensava soltanto, prima di addormentarsi, a quant'è stronza questa vita, a come ti gira e ti rigira...
A sedici anni si disperava, perché una donna non c'era. Ora, a quaranta, ancora peggio... Ma perché una donna c'era.

Copyright © 1995

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