Racconto di Annika Mazzucco
ANNIKA MAZZUCCO

Annemarie

La prima volta che ti ho vista era di sera; stavo aspettando l'autobus ed ho sentito uno strano fremito corrermi lungo la schiena. In un attimo mi sei passata davanti e sei scomparsa; per lungo tempo ho fatto fatica a dimenticare quella figura snella e quei capelli rossi che si ribellavano ad una coda troppo corta. Ti ho rivista dopo molti mesi in una birreria; ricordo i tuoi occhi verdi che mi fissavano muti, senza mai staccarsi dai miei. Per tutta la sera ho sentito quegli occhi trafiggermi, ostinati e scrutatori; quasi non osavo muovermi, non ho mai cercato di girarmi per fissarti, per sfidarti con un mio sguardo. Poi, più nulla; quando ho lasciato il locale di te non c'era più traccia.
La terza volta mi hai parlato. Era a casa di N.; mi sei venuta incontro trascinata dalla padrona di casa, parevi un po' annoiata, come se non ti importasse di mischiarti a chi ti stava accanto. Ho sentito il tuo sguardo penetrare a fondo dentro di me ancora, poi nei tuoi occhi è riaffiorata la noia e mi hai dato una stretta di mano piuttosto energica dicendo controvoglia «Piacere, Annemarie». Ci sono stati pochi secondi di silenzio fra noi, poi ti sei voltata e sei scomparsa in un'altra stanza senza più dire nulla. Ti ho amata in quel momento; nel fremito che si intravedeva affiorare dai tuoi sguardi, nella tua erre arrotolata dolcemente nel palato, nel non sapere nulla di te se non il tuo nome. Durante la serata mi sei passata accanto ancora una volta, stavi parlando con Marco e pareva non mi vedessi nemmeno. N. intanto vi osservava soddisfatta mentre mi sussurrava all'orecchio: «Fanno proprio una bella coppia, speriamo che...».
«Perché speriamo?».
«Non lo sai? Annemarie si è trasferita in Italia poco prima di sposarsi. Pare che ci fosse di mezzo una scappatella, ma con me non ha voluto confidarsi».
L'ho salutata ed ho lasciato quella casa immediatamente. Dunque volevi legare tutta la tua vita a qualcuno il cui viso mi era ignoto quanto il tuo passato. Avrei voluto farti mille domande: sei stata tu a tradire, lo amavi, avresti voluto dei figli da lui, ...c'è posto per me nella tua vita? Meglio tornare al lavoro e cercare di dimenticarti.

«Annemarie...».
«Passavo di qua...».
«Ho un po' di tempo libero. Pranziamo insieme?».
«Perché no».
è veramente così semplice fra di noi? Sono bastati pochi attimi ed è subito complicità, come se le nostre vite corressero parallele da chissà quanto tempo. Tu ed io e pochissime parole, i nostri occhi che non smettono neppure per un istante di fissarsi; dal tavolo vicino al nostro una coppia di ragazzi ci osserva maligna, mi giro verso di loro e si mettono a discutere animatamente.
«Claude, si chiamava Claude ed aveva trent'anni».
«Non ti ho chiesto niente».
«L'avresti fatto prima o poi».
«L'amavi?».
«Molto».
«Sei stata tu a tradire?».
«Sì».
«Tradirai anche me?».
«Non lo so».
Annemarie così semplice, silenziosa, attraente ed anche spietata. Ora la mia vita è tua, lo è sempre stata. Mi dici: «Andiamo a casa tua» e lo fai sembrare la cosa più naturale del mondo.
«Non posso, devo lavorare. Quando ci vediamo?».
«Non lo so, ti cerco io».
Sparisci fra la gente; ancora una volta di te non resta più traccia, come se fossi solo il frutto della mia immaginazione. O del mio desiderio. Non posso amarti Annemarie, sei una tentazione del corpo, una smania della mente, un bisogno della mia vita. Se ora mi lascio andare sarà per sempre, cambierai i miei giorni e non ci sarà più ritorno, lo puoi capire? Non voglio amarti ma già sento che mi manchi.

Due settimane senza vederti. Non ho il tuo indirizzo, non ho il tuo numero di telefono, non so che lavoro fai e dove trovarti.
«Tanto oggi non riesco a lavorare, vado a casa».
«Va bene, ci vediamo lunedì». Piove, c'è ancora abbastanza luce per la strada e poche persone in giro; si sente il profumo della città bagnata. Svolto l'angolo di casa mia e tu sei lì, con l'impermeabile zuppo ed i capelli incollati al viso; non dici una parola come al solito, ti limiti a fissarmi con quei grandi occhi verdi ed improvvisamente queste due settimane di angoscia svaniscono.
«Sali, ci asciughiamo un po'». Dove sei stata Annemarie, che cosa hai fatto in queste due settimane in cui la mia vita è rimasta sospesa ai tuoi capricci? Entri in casa mia così come hai fatto nella mia vita: non ti guardi attorno, non dici nulla; ti spogli e ti siedi sul divano così come sei, nei tuoi occhi c'è la solita determinazione e dal tuo corpo sale verso di me un profumo di buono.
«Hai fame, vuoi che ti prepari qualcosa?».
«No».
Ho paura Annemarie, ho paura di quel che sta succedendo, di quel che succederà, di cosa sarà di noi, del desiderio che ho di te. Mi siedo anch'io sul divano ed i tuoi occhi si fanno più grandi, il tuo mistero ancora più fitto; e se dopo svanisse tutto, se mi ritrovassi fra le braccia un amore inutile? Mi baci; un bacio casto, più innocuo dell'effetto che ha su di me. Le tue labbra combaciano perfettamente con le mie, è un lieve sfiorarsi di farfalle, il tocco leggero del pennello sulla tela, un saluto innocente fra bambini. Sento il cuore battere a più non posso e provo un lieve senso di stordimento; te ne accorgi ed i tuoi occhi hanno un guizzo compiaciuto, ti piace vedere l'effetto che mi fai, ti piace ammirarti riflessa nei desideri della gente. Portami via Annemarie e lasciami annegare nel piacere di fare l'amore con te. Invece ti alzi ed incominci a rivestirti lentamente; temo che tu sparisca senza dire una parola anche questa volta e non te lo posso permettere, o forse sono io a non potermelo più permettere.
«Usciamo a cena, voglio che tu mi faccia scoprire Torino».
Annemarie la capricciosa, la dispotica, la donna che amo. Non ti porto in un ristorante romantico, mangiamo una pizza e poi andiamo in centro; voglio farti scoprire tutto il fascino della città che amo, che fa parte del mio Dna. Non voglio portarti nel cosiddetto salotto buono, voglio che tu scopra la pigra eleganza di Torino, la bellezza riservata di certi giardini, le facciate solo apparentemente austere delle case. «Nessuno mi aveva mai portato qui. Ero stata al Valentino, in collina...».
«Sono luoghi per innamorati. Tu lo sei?».
«Forse sì». Poi, dopo un attimo di silenzio: «Mi ami?».
«Sì Annemarie, non posso farne a meno».
Ti stringi a me e chiudi il tuo ombrello, posso sentire il tepore del tuo corpo, il profumo che si fa strada fra i tuoi vestiti; camminiamo per un po' così, una sola ombra sull'asfalto bagnato. Sta nascendo l'alba su di noi. Ho detto: «Ti regalo Torino», ma credo che fosse lei a regalarsi a noi scegliendo di essere così bella in una notte di pioggia e di freddo da lupi.

Oggi è più facile lavorare. La mente è ancora piena di te, sento ancora il tuo profumo ed il ricordo ritorna alle parole di ieri, alla tua vita che lentamente si svelava ai miei occhi. Ora so chi sei Annemarie, perché sei giunta sino a me attraverso questo percorso tortuoso. Lo squillo del telefono rapisce il tuo ricordo.
«Voglio fare l'amore con te. A casa mia, dopo il lavoro».
Fai sembrare sempre tutto così semplice. Esco tardi dallo studio; volevo rimandare il più possibile il nostro incontro, fugare tutte le mie paure, avere la certezza che la strada che stavo per intraprendere fosse quella giusta. La tua finestra è accesa, vedo la tua figura muoversi dietro i vetri e mi chiedo che tipo di preparativi si facciano in una casa quando si è invitato qualcuno per fare l'amore. Ci amiamo dietro l'uscio appena chiuso, selvaggiamente. Ti attacchi alla mia bocca come se ti mancasse l'aria per vivere, le tue mani cercano i miei lineamenti, come una cieca esplora il viso di qualcuno.
Ondate di piacere mi percorrono la pelle, penetrano nell'anima in una fusione totale dei nostri corpi che si muovono freneticamente. Io sono Annemarie, lei è me; non distinguo più i miei confini dai suoi, il suo piacere dal mio.
«Annemarie... è come se fosse la prima volta».
«Anche per me. Così».
E finalmente il mio corpo è libero di amarti come desidera. Amo la piccola cicatrice sul tuo ginocchio destro, la morbidezza compatta dei tuoi fianchi, la trasparenza delle tue palpebre, i tuoi capezzoli sull'attenti come due piccoli soldatini. Ti amo, e per la prima volta nella mia vita mi rendo conto di cosa significhino veramente queste due parole: io amo te, nessun'altra persona al mondo all'infuori di te. Ti amo al punto di lasciarti andare via da me anche adesso se lo vuoi.
Mi sorridi e ricominciamo a fare l'amore lentamente, dolcemente. L'odore del tuo corpo, i tuoi movimenti, i tuoi occhi che si chiudono per poi riaprirsi un po' umidi e fissarsi nei miei, la dolcezza della tua voce e quel parlarmi nella tua lingua madre, le tue mani che mi accarezzano dolcemente la schiena... tutto questo mi fa appartenere a te sempre di più, sempre più consapevolmente.
Quante ore sono passate da quando ho varcato quella porta? Una, forse mille, forse tutta la mia vita si è svolta in questa stanza.
«Domani mi trasferisco da te. Portiamo via solo questo letto».
È naturale che sia così.
«Che diranno i tuoi amici?».
«Non mi importa, avrebbero detto qualcosa su chiunque fosse venuto ad abitare qui».
«Lo sai che ti amo?».
«Mi piace sentirmelo ripetere da te, suona diverso». Sembriamo una coppia di pappagallini in amore. Mi chiedo come mai tu non fossi qui, al mio fianco, da sempre. Ti amavo ancor prima di conoscerti; tutta la mia vita non è stata null'altro che una parentesi prima di potermi ricongiungere con te, una lenta marcia verso noi due qui, adesso.
Posso vivere solo con te, anche quando non sarai più al mio fianco, anche quando qualcun altro si aggirerà per le mie stanze con in testa l'assurda idea che sia casa sua...

«Devo andare in Belgio per qualche tempo; devo sistemare le cose con le banche, farmi fare i documenti...».
«Vuoi che venga con te?».
«Meglio di no – sembri imbarazzata – sai, ho fretta, e poi ti annoieresti».
Cala uno strano velo di tristezza fra di noi. La mia bocca tace più della mia gelosia mentre con la macchina sfreccio verso l'aeroporto. Non scambiamo che poche parole prima del tuo imbarco; nessun bacio per noi come saluto, solo i nostri occhi che si perdono dolcemente.
«Pronto, sono Annemarie, sono arrivata ieri ed è andato tutto bene. C'è stata solo qualche turbolenza».
«Che tempo fa lassù?».
«Il solito tempo belga – e ridi come sempre mentre il mio cuore rallenta i battiti – e da voi, nel terzo mondo?».
«Ma sentila, è via da poche ore e già ci rinnega». Potrò mai dirle che mi manca, che l'amo, che vorrei non fosse così lontana senza sembrare idiota?
«Credo che starò qui un paio di settimane, forse un po' di più».
Per qualche istante restiamo così la tua voce si abbassa lievemente e ne esce un «mi manchi» che non so capire se sia reale o frutto della mia immaginazione. Si interrompe la comunicazione, o forse hai voluto attaccare lasciando la mia vita appesa a quelle tue ultime parole.
C'è sempre qualcosa di incompleto fra di noi.
È passato un mese ed ancora non ho tue notizie; il tuo direttore mi ha detto che hai chiesto un'aspettativa di tre mesi e che l'unico indirizzo che ha è quello di casa mia; N. non sa più niente di te; Marco non ti ha mai più rivista... mi guardano tutti male mentre cerco disperatamente di sapere qualcosa di più. Poi, finalmente, ti decidi a farti sentire, e lo fai con la tua solita crudele ingenuità, come se fosse da ieri che non ci vediamo.
«Sono io, come stai?».
«Annemarie, credevo di impazzire... – le lacrime mi salgono agli occhi – dimmi dove sei, parto questa sera...».
«è meglio di no».
Perché siamo a questo punto, che cosa ne è stato di questo rapporto così speciale per noi?

Un mese e ventisette giorni senza Annemarie. Comincio a credere che tu non sia mai esistita, che tu sia solo il frutto della mia immaginazione, della mia solitudine. Fatico a riconoscere il suono del campanello; quando apro la porta tu sei lì, con gli occhi stanchi ed i capelli sempre più selvaggi.
«Sono tornata, ma non ho molto tempo. Poi ti spiego».
Ti dirigi verso la camera da letto, lasciando le borse a terra man mano che cammini. È normale per te rientrare in questa maniera nella mia vita, metterti a dormire mentre tutto viene sconvolto per l'ennesima volta. Un mese, ventisette giorni e tre ore senza Annemarie, tanto è il tempo che ci impieghi prima di svegliarti.
«Claude mi ha chiesto di sposarlo. Ha detto che mi ama ancora, che non possiamo rovinare tutto per una notte di follia».
«Anche quello che c'è stato fra di noi era solo una notte di follia?».
«Sai che non è così. Non capisci; non posso scegliere fra di voi, fra due storie così diverse».
«Il mio amore è tutto ciò che ho da darti, non posso competere con lui». Per tutta risposta ti getti su di me e facciamo l'amore come sempre. Dimmi, chi stai scegliendo?

Annemarie è partita.
Il tuo armadio è vuoto ed ho un letto a due piazze tutto per me. Non ho più voluto storie dopo la fine della nostra. Ho avuto la mia partita, ho giocato le poche carte che avevo a disposizione ed ho perso la mano; ora questo gioco non mi piace più. Da un anno ho un'esistenza vuota, un cuore arido e nessuna prospettiva per il futuro. Il mio appartamento è silenzioso, perfettamente lindo e pulito, asettico ed impersonale come i giorni che vedo scorrere fra le mie dita.

Rue de... una casa a due piani. Citofono e tutta la mia vita si concentra in quel gesto.
«Annemarie!».
Alta, bellissima, enigmatica ed un po' severa come al solito.
«...passavo da queste parti».
«Entra».
Ho un'unica certezza ed è quella di aspettare; aspettare all'infinito che tu decida, osservare i tuoi continui ribaltamenti di fronte, rassegnarmi ad amare una persona confusa più con se stessa che con me. Entro, o meglio, ti lascio entrare ancora una volta nella mia vita.
«Hai fatto bene a venirmi a trovare».
«Non è una visita di cortesia, voglio una spiegazione».
«Credevo che tu avessi capito, che fosse chiaro».
Mi versi il tè con calma e con altrettanta calma ti accingi a distruggere il mio ego, la mia vita, il nostro amore e tutto ciò che rimane di noi.
«Amo Claude. E amo anche te. Forse è solo per pigrizia che sono rimasta qui».
«Vale dunque così poco l'amore che posso offrirti io?». «Sai che ti sbagli».
Non potevo restare un istante di più ho preso la porta ed ho incominciato a correre per quelle strade tutte uguali. Via dal Belgio, via da te, via dalla mia vita stessa. All'aeroporto mi volto per un momento e tu sei lì, con i tuoi grandi occhi verdi fissi nei miei ed una lacrima che rotola lungo le gote in fiamme. Non fai neppure un gesto e mi lasci partire così.

N. dice che Annemarie è tornata in Italia ma io non so nulla, non voglio sapere nulla.
Dalla finestra aperta scorgo una donna camminare sola, con passo svelto e deciso. Si ferma un attimo proprio sotto il mio portone ed alza lo sguardo per un brevissimo istante.
...un fremito mi corre dolcemente lungo la schiena...

Copyright © 1996

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