Albo d'Oro

 

ATTO FINALE

Anna Maria Frascaroli

Mi alzai senza fare rumore, per non svegliare Nico. La sua sagoma, sotto le lenzuola, mi riscaldò il cuore, ricordandomi la notte appena trascorsa, struggente, come solo un ultimo incontro d’amore può essere. Sapevo da tempo che doveva finire, era l’evolversi naturale della nostra storia, che qualcuno, ma perché m’illudevo? Tutti, definivano anomala.
Io, Marta, l’amante abituata al piacere dell’attimo, all’amore che non pretende amore! Io, la donna che ero stata. Quanto tempo fa?
Indossai la vestaglia di seta e sfilai furtiva dinanzi allo specchio sulla parete della stanza. Una fuggevole occhiata, rapida come il tempo che passa. Una massa di capelli spettinati e stopposi, occhiaie scure, labbra esangui, senza l’aiuto del rosso che le avrebbe rese nuovamente vive e brillanti. E Nico continuava a dormire. Perché all’improvviso volevo nascondergli il mio volto stanco, il mio seno avvizzito e le pieghe che mi segnavano il collo? Perché questo nuovo pudore? Eravamo insieme da ormai quattro anni! La sua giovinezza era stata mia, senza compromessi e senza menzogna. In cambio gli avevo dato tutta me stessa e la mia esperienza di anni d’amore, trasformando il sapere di una vita in un lungo abbraccio senza fine, per lui soltanto. Ma era giunto il momento dell’addio: Nico aveva incontrato Lisa.
«Non sono certo di amarla, ma la sposerò». Mi avevano ferito a morte le sue parole, ma avevo mostrato indifferenza. «È giovane, bella, perché non dovresti?». «Mah, forse mi sono abituato a te». Avevo riso, gettando indietro il capo. «Non mi rendi giustizia! Dovevi dire che mi ami alla follia! Ma non importa, sposala, è la donna per te».
Di che lagnarmi allora? Il nostro era stato un rapporto splendido, lo dicevano tutti! Gli amici, intendo. Gli altri, proferivano le oscenità più crudeli: che ero la sua puttana, o, peggio, che lui era il mio mantenuto. Come se avessi avuto bisogno di pagarlo un uomo, se lo volevo! Mi versai una tazza di caffè e sedetti accanto alla finestra. Udii un rumore provenire dalla stanza, dove Nico ancora dormiva. Dio, perché temevo il suo risveglio? Mi portai le mani al volto, ai capelli scomposti, alla tragica consapevolezza della realtà.
Mi alzai e mi diressi verso il bagno, per tornare dopo mezz’ora, profumata e trasformata. Nico sedeva al tavolo di cucina in attesa. Sorrisi, nell’illusione che il mio aspetto, dopo il restauro, gli ricordasse la Marta di un tempo. Ma non lessi conferma nel suo sguardo.
«Me ne vado Marta».
Nonostante attendessi le sue parole, ma sussultai. Con mano tremante, gli versai il caffè nella tazzina, ma non toccò i crostini caldi che gli porsi sul vassoio, né il miele genuino che mi portava il fattore, non quello che si compra al supermercato.
«Vuoi che ne parliamo?»
«Non c’è altro da dire».
Le lunghe ciglia gli ombreggiavano lo sguardo, che non si alzò verso di me. Al calore del sole, i riccioli di burro iniziavano a squagliarsi.
Mi aveva parlato con voce piatta, impersonale, ma ne avevo intuito la determinazione. Alzò il capo e, per un attimo i nostri occhi s’incontrarono. Compresi che era finita.
Allontanò da sé il vassoio, si alzò e si diresse verso la stanza da letto. Che fare per trattenerlo?
Il cuore prese a battermi rapidamente e l’affanno sembrò togliermi il respiro. No, non dovevo mostrargli la mia debolezza! Che diamine! Ero stata forte per entrambi e mai gli avevo esibito le mie lacrime!
Frenai l’istinto di seguirlo e attesi, mentre entrava nella stanza che per anni avevamo condiviso. Ed uscire per sempre dalla mia vita.
Lisa aveva preso il posto mio.
«Non preoccuparti - dissi a voce alta affinché potesse udirmi -. Ti preparo io la valigia e te la faccio consegnare».
Mi sorprese il tono dolce della sua voce, che mi giunse filtrata dalla porta socchiusa alle sue spalle:
«Non è necessario. Porto con me poche cose».
Udii i suoi passi di ritorno: indossava i blue jeans e il pullover azzurro che gli avevo regalato io, appena sei mesi fa. I capelli spettinati gli accarezzavano il collo, neri e lucenti.
«Se posso fare qualcosa...».
Non finii la frase, lui mi strinse le mani.
«Mi spiace Marta, devo andare».
Non ricambiai la stretta, o non lo avrei più lasciato.
«Bene, sii felice. Insieme lo siamo stati - azzardai stupidamente -. Se vorrai tornare, per un consiglio, oppure...».
«No Marta. Non aspettare me».
«Intendi dire che devo trovarmi un altro? - non riuscii a trattenere la stizza e la voce mi uscì stridula -. La mia vita l’ho sempre vissuta a modo mio e continuerò a farlo!»
Ecco, stava per finire in un pietoso bisticcio! Calmati Marta, non abbandonarti alla scena dell’addio, mostragli che sei una vera donna! Chi è Lisa al tuo confronto? Due tettine rivolte verso il cielo, natiche sode, pelle liscia, capelli lucenti! E poi cos’altro? Basta. La sua mano mi accarezzò il volto dolcemente. Era il suo modo di dirmi addio.
«Copriti il collo, attento ai colpi d’aria!»
Furono le ultime parole che gli dissi, prima che varcasse la soglia. Vidi una luce dolce, un po’ ironica, brillare nei suoi occhi. Non ero riuscita a trattenere un’ultima raccomandazione!
Mi accostai alla finestra e guardai giù, nella strada. Nico l’attraversò con passo lento, poi più veloce, la sacca a tracolla e le mani in tasca: alzò il capo verso il cielo e mi sembrò di vederlo fischiettare. Non potevo certo udire il motivo, ma intuii che era una musica che non conoscevo, che non apparteneva al mio mondo. Apparteneva al suo.

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