21° Premio Letterario Penna d'Autore - Sezione Racconti: Riccardo Gazzaniga, "A sangue freddo"

 

QUARTO PREMIO - SEZIONE RACCONTI

RICCARDO GAZZANIGA (Genova)

A SANGUE FREDDO

Sono qui in macchina, e aspetto.
Aspettare è una parte del mio lavoro in cui sono sempre stato bravo. L’altra parte è sparare e mi riesce bene anche quella. Se uno che è capace di aspettare e sparare ha anche il sangue freddo, allora è un buon killer.
E io lo sono.
Mi preparo ad agire, so che tra poco lui uscirà. Sicuramente avrà bevuto e questo mi agevolerà, perché quando bevi, il sangue e la testa si scaldano e la reattività diminuisce. A lui piace bere.
So tutto del mio uomo, come deve fare un buon killer. Lo potrei riconoscere tra dieci persone vestite uguali, perché di lui conosco abitudini debolezze, qualità e difetti.
Ero certo che sarebbe venuto qui, stasera, anche se non ne aveva voglia. È troppo rischioso e poi non ama più sua moglie. La scopa ancora, questo è sicuro, ma non la ama più. Però deve festeggiare i due mesi della sua bambina e non può mancare, nemmeno in questo momento, nemmeno con una guerra fra clan in corso e con la Polizia che potrebbe beccare qualcuno di noi in qualsiasi momento.
L’uomo che devo uccidere si chiama Salvo e ha 33 anni.
È nato vicino a Capaci, un posto che pure a noi ci fa venire brutti ricordi, di brutti guai. È figlio di genitori senza precedenti, brava gente – direbbe qualcuno – e chissà come mai gli è uscito un figlio così. Ma non avevano soldi, non c’era voglia di studiare, non c’era nulla e Salvo non voleva vivere da fesso.
La storia la conosco bene, è uguale alla mia.
Salvo non vive con sua moglie da due anni. All’inizio l’ha dovuta lasciare per salvarsi la pelle, perché c’era una guerra in corso. Ha vissuto per mesi con la sua famiglia di sangue, gli altri soldati, il gruppo di fuoco che noi chiamiamo “decina”. E con il loro capo.
Ma sarebbe potuto tornare a casa, quando le acque si erano calmate. Invece no, è rimasto lontano. Chissà che cazzate le ha detto, a 'sta donna, mentre si divertiva da un’altra parte. Salvo ha sparato più cazzate che proiettili, ha raccontato minchiate a tutti, mica solo a sua moglie.
Ma io so tutto di lui. Ha tradito la sua donna e poi ha tradito pure l’amante, il sacco di merda, mettendo incinta la moglie. Da bravo uomo del Sud, ha fatto di tutto per mantenere in piedi la famiglia ufficiale, compresa una figlia.
So anche, di sicuro e senza dubbio, che l’amante non l’ha presa bene.
Bastardo di Salvo, vorrei salire a raccontare tutto a sua moglie, ma non fa parte del lavoro che ho da fare stanotte. Stanotte io devo ucciderlo e basta.
Salvo è arrivato con il buio, a piedi, camminando veloce. Non ci ha messo molto a entrare, ma ci sta mettendo moltissimo a uscire. Sono le tre, ormai e la bambina sarà al decimo sonno, ammesso che riesca a dormire e che i rumori non la disturbino. Perché Salvo starà scopando con sua moglie, se gli riesce. Ma sì che gli riesce, noi uomini siciliani siamo così e facciamo quello che è giusto fare per la famiglia. Scopiamo le donne bene, anche se non ne abbiamo voglia ce la facciamo venire o fingiamo di averne.
Noi fingiamo sempre qualcosa e anch’io fingo, da tanti anni. Sono abituato a fingere così bene che se arrivasse un matto a chiedermi una sigaretta fingerei di cercarla, mentre decido se devo ammazzarlo.
Quanto vorrei farmi una sigaretta e invece sono qui senza fumare, senza bere per non dover pisciare, senza un caffè, senza il telefono per non lasciare tracce del mio passaggio. Senza niente.
Non posso scendere a fare due passi, perché lui potrebbe vedermi dalla finestra. So che Salvo è scaltro, è uno con le palle e sta sempre all’erta. Noi viviamo così, con il timore che ci sia qualcuno ad aspettarci da qualche parte. La nostra vita è nascondersi e apparire, fuggire e inseguire, ammazzare ed essere ammazzati.
Salvo lo devo ammazzare per il suo tradimento, che la famiglia non lo può perdonare.
Io non sono il capo famiglia, ma nemmeno l’ultimo dei picciotti. Sono un capodecina e mi occupo di gestire i soldati. Prima ero un soldato anch’io, ma poi sono salito di grado e come capodecina posso anche proporre un’operazione.
E così ho fatto con Salvo. Ho parlato con Totò “U Manuzza” e gli ho detto che Salvo bisognava ammazzarlo per forza, perché aveva due amici negli sbirri. Salvo cantava in cambio di certi affari che quelli gli lasciavano tenere a Brancaccio, in proprio e da noi solo due cose non si fanno: lavorare in proprio e parlare con gli sbirri.
Totò sa che io sono uno serio, quadrato, che parlo poco e non ho mai chiesto di fottere qualcuno. Ma se dico una cosa è quella, e se dico che Salvo è infame allora è infame.
Totò ne ha parlato con Don Vittorio e quello ha risposto che se la cosa era certa, allora lo dovevamo ammazzare subito. Però dovevo farlo io.
Era proprio ciò che volevo e così stanotte sono qua, ad aspettare Salvo.
Ecco, il portone si apre e vedo Salvo che si guarda intorno, prima di avviarsi. Sento solo un brivido e mi sforzo di credere sia il freddo. A questo punto della faccenda, di solito, non provo alcuna emozione e penso solo al mio obiettivo. E poi non è mica la prima volta che conosco la mia vittima e so di poterlo superare. Si tratta di un attimo, un clic sul grilletto, poi altri due di sicurezza e via, finito.
Però con Salvo è diverso, minchia. Ero io il suo capo decina e lui uno dei miei soldati.
Salvo cammina veloce, diretto non so dove. Mi rendo conto che forse mi sono sbagliato, sono stato troppo presuntuoso. Io non ho saputo una mazza di quest’uomo, soprattutto cosa avesse dentro. Ho creduto alle cazzate che ha voluto raccontarmi.
Scendo e lo seguo piano. La macchina è rubata e la mollo dov’è.
Da dietro vedo la sua camminata un po’ dondolante, la conosco bene. Improvvisamente qualcosa mi si smuove dentro.
Salvo, cazzo, è Salvo. Uno dei miei soldati. Uno che ha sparato per difendermi, quella volta che i Cucchiara ci hanno beccato soli a Palagonia. Uno che si è messo sempre davanti, che se arrivava un proiettile prendeva prima lui di me.
Ma non importa, è giusto così, Salvo deve pagare. Mi ha mentito, mi ha preso in giro, ha tradito la mia fiducia. Mi diceva che usciva in missione, per noi, e invece vedeva gli sbirri.
Pezzo di merda.
Salvo svolta l’angolo e io accelero, lo seguo. Sono silenzioso e gli arrivo a dieci metri senza che se ne accorga. Lui è un buon soldato, ma io sono più vecchio, più esperto e anche più cattivo. Per questo sono diventato capodecina e se tutto finirà bene, se nessuno capirà nulla di 'sta faccenda, forse arriverò anche a consigliere. Anche se adesso non me ne fotte una minchia di cosa diventerò.
Adesso penso solo a Salvo.
Il cuore mi accelera, mentre apro il giubbotto per tirare fuori la pistola, ma sono sfigato e la zip che ha sempre funzionato bene stavolta si incastra, così devo fare più pressione. C’è silenzio e anche il rumore di una minchia di zip ti può tradire. Per questo Salvo mi sente e si gira, ma io sono veloce e ho già la pistola in mano.
Lui mi guarda e allarga la bocca in una «oh!».
Mi aspetto che reagisca e tiri fuori la sua pistola, sono sicuro che ce l’ha, ma invece rimane inchiodato all’asfalto come se lo stupore di trovarmi lì, davanti a lui gli congelasse testa e corpo.
«Pe... peppì... ma che minchia...» balbetta.
Io deglutisco, con il cannone in mano dritto verso di lui. Come sempre, è solo un clic. Ma adesso che Salvo è davanti a me, con quel suo viso ancora da ragazzo, quello sguardo insieme innocente e consumato, non premo il grilletto.
In un istante rivedo il suo sorriso imbarazzato, la prima volta che ci siamo baciati. Quando io ho osato, senza sapere cosa sarebbe successo. Contando sul suo silenzio, perché lui era un mio soldato.
Ma lui ha risposto alle mie labbra con passione lo so, me lo ricordo. Le nostre lingue si sono prese, avvolte, succhiate. Ricordo il suo corpo sotto il mio, di notte, in quella macchina, quando dovevamo fare un appostamento a uno. Lo abbiamo ammazzato lo stesso, ma poi abbiamo scopato come pazzi.
E adesso Salvo è qui e io devo ammazzarlo.
Mica per gli sbirri, di quelli me ne potrei anche fottere. Ma Salvo ha tradito me, perché ha detto di amarmi e poi ha continuato ad andare da sua moglie. Mi ha tradito perché mi ha promesso di scappare al Nord, magari in Germania, di lasciare questa minchia di città. E invece viene qui di notte, a trovare la sua bimba di due mesi che l’ha fatta mentre scopava con me. Anche con me.
Lo devo uccidere, a Salvo, perché ho paura, ho paura che sia venuto con me solo per restare nella famiglia, per crescere, diventare importante. Per ricattarmi, come l’ultima volta,
«Mi devi lasciare in pace Peppì! Dobbiamo finirla, 'sta camurria. Che se lo dico a Toni poi finisci in un guaio, lo sai?».
Lo devo ammazzare, a Salvo, ma il dito non preme il grilletto e questa mano che ha sparato uomini e donne e vecchi e pure un ragazzino, per una volta trema.
Salvo mi guarda.
«Peppì, che minchia stai facendo? Metti via u cannuni!» mi dice senza urlare, da bravo soldato, fissandomi per cercare di non farsi sparare. E io rimango lì, perdendo l’attimo buono, perché un killer lo deve prendere subito quell’attimo, l’unico che ha. E se aspetta è fottuto.
Io capisco di essere fottuto quando sento i passi che arrivano da dietro. Mi giro con la pistola in mano, ma loro sono in due e vengono al buio, così non riesco a inquadrarli subito nel mirino. Uno grida “Polizia” e poi spara due volte.
Cado.
Salvo urla, ma sembra più spavento che disperazione e questo fa più male dei proiettili che ho dentro. Gli sbirri sono lì e potrebbero prendere Salvo o almeno sparargli.
«Vattene dai! Cazzo, vattene» gli urla invece uno dei poliziotti.
Io riesco a girarmi e a vedere il volto di Salvo, quell’infame di Salvo che era amico per davvero degli sbirri, anche se io non ci avevo creduto alla voce che mi aveva riferito Pasquale. Non era possibile che Salvo fosse infame e nemmeno importava, perché l’avrei perdonato lo stesso. Vedo il suo viso per un attimo solo e capisco che non importa. Che non ce l’avrei fatta comunque, non sarei riuscito a sparargli per nessun tradimento al mondo.
Salvo scappa e lo vedo sparire dai miei occhi. Provo dolore al cuore, ma non alla pancia dove mi hanno bucato e il mio sangue caldo esce a infreddolire.
Cerco di portarmi via un ultimo ricordo del viso di Salvo e mi esce pure un sorriso amaro, mentre muoio. Perché con questa vita che ho fatto di essere ucciso dagli sbirri, anche me lo aspettavo. Ma di morire per amore, davvero no.

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