Antonino Leotta

 

TERZO CONCORSO LETTERARIO NAZIONALE
Poeti e Scrittori Uniti in Beneficenza
 

4° PREMIO EX AEQUO
Antonino Leotta di Acireale (CT)
 
Opera premiata:
GIUBILEO

Ho varcato la porta della chiesa. Dubbioso. Incerto. Confuso. Lentamente, come una foglia morta si adagia sul soffice verde del prato, mi sono avvicinato all’immagine di Maria. Ho sussurrato: ti saluto, Maria. Con soave confidenza. Come ci si rivolge a una persona amica che ispira fiducia e stimola serenità.
Torno a pensarti adolescente. Coinvolta in una missione segreta. Proiettata verso una scelta audace e misteriosa. In pochi minuti sei passata alla maturità affrontando imprevisti e giorni di forte responsabilità. Sei diventata madre. Hai abbracciato un figlio nel tuo grembo di fanciulla immensamente felice. Ma a tu per tu con situazioni di non comune difficoltà. Quel “sì” fermo e coraggioso ti ha inondata di luce e di bontà, di forza e di grandezza. Perciò torno a salutarti adesso a voce aperta: salve, regina.
Vita. Dolcezza. Speranza.
Hai provato i momenti dell’ansia, della sofferenza, del dolore ma, molto più, della gioia e dell’amore per tanti anni. Trentatré ne ha contati la storia: dal censimento di Cesare Augusto alla viltà del procuratore romano Ponzio Pilato. Fino a quando una spada ti ha trafitto l’anima nello stesso momento in cui una lancia ha squarciato il petto del tuo meraviglioso figlio.
Salve regina dell’amore e del dolore. Del mistero divino e del quotidiano di una madre.
Hai respirato insieme a lui. Rincorrendo gioiosamente i battiti del suo cuore con i tuoi, nel segreto del tuo grembo. Hai ascoltato le parole del tuo figlio, hai abbracciato il suono della sua voce, il suo messaggio di vita nuova. Hai ammirato i suoi gesti, hai contemplato la sua opera in ogni sua piega.
E, accanto a lui, sei entrata nel cuore della persona umana, hai conosciuto i limiti, le miserie, le difficoltà, i dolori e i desideri, le delusioni e le speranze dei figli di Eva. Che spesso si ritrovano a errare gementi e piangenti in questa avventura terrena, in questa valle di lacrime. Tra ingiustizie e orrori, tra guerre, violenze, vendette e prepotenze. Dove il perverso egoismo si confonde con l’odio e lo sfruttamento. Dove ci si infanga nell’invidia e si infangano gli altri con gratuite calunnie. Dove il disprezzo non ha misura. Dove si distruggono la natura e la sua armonia, le sue bellezze e i tesori elaborati dalle mani operose dell’uomo. Dove si oscura lo sguardo di Dio e si fa tacere la sua voce.
Salve regina dal cuore di madre. Adesso percepisco, avverto che stai volgendo, ancora una volta, i tuoi occhi su un errante che ricorre a te e sospira e
invoca il tuo sguardo come pioggia benefica su una terra arida. Perché ha bisogno di una “avvocata”, di una madre. Di una “donna” che ripeta il gesto compiuto alle nozze di Cana.
Spingimi, donna, madre e regina, a percepire la gratuità dell’amore di Dio. La sua illimitata apertura ad ogni perdono. Perché egli “rimette a noi i nostri debiti”. Ma tu facci capire che anche noi dobbiamo impegnarci a rimetterli “ai nostri debitori”. E, intanto che questo si verifichi, fa in modo che il Padre ci offra perdono nonostante i nostri ritardi nel perdonare.

Ho varcato la soglia di una “chiesa” che, talvolta, continuiamo a fare apparire conformista. Esternamente ripulita, “imbiancata”, ma che potrebbe occultare sepolcri. Perché fatta anche di uomini che preferiscono la ricerca della personale serenità interiore più che percorrere una strada da samaritani. Una “chiesa” che spesso ci ostiniamo a proporre senza un cuore ma con interessi di beni e conquiste che rimangono terreni. Una “chiesa” che ha bisogno di apprendere da te come può palpitare il cuore di una madre.
Sono qui, ma, pensando che dovrò tornare fuori, mi mette paura. Ho paura del presente che stiamo attraversando e ho paura del futuro che ci attende. Ma ho anche la paura di continuare a vivere guardingo e sospettoso. Incapace di agire e di azzardare, di muovermi in generosità nel rapporto con gli altri. Madre, infondimi fiducia nella vita. E, soprattutto, insegnami a credere nell’amore di Dio. Che potrà aiutarmi a rendermi in qualche modo amorevole. Fammi capire che il tuo figlio è venuto in mezzo a noi per gridarci l’amore del Padre. E per insegnarci a ripetere il suo grido. Per questo sono qui ai tuoi piedi: Madre, insegnami ad amare.

“Ave, regina coelorum. Ave, domina angelorum. Salve radix, salve porta ex qua mundo lux est orta”. Ti saluto, regina dei cieli. Ti saluto, signora degli angeli. Salve radice, salve porta attraverso la quale è entrata una luce nel mondo.
Salve regina. Clemente e pia. Dolce vergine Maria. Abbraccio i tuoi piedi come esule figlio di Eva. Col desiderio di far tesoro di una lezione di amore. Per sentire vibrare l’amore.
Tornerò ad affondare i miei passi nel fango della vicenda umana. Ma cercherò di sollevare lo sguardo in alto per incontrare ancora i tuoi occhi di madre.

Salve, madre di misericordia.

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