Racconti
  
di Gemma Bertoncin
  
Pagine: 37
   Prezzo: non indicato
   Tel.: 346 2299248

 

PROFILO DELL'AUTRICE

GEMMA BERTONCIN, è nata a Vicenza.
Ha studiato alle Regie Scuole Tecniche commerciali. Impiegata come interprete di francese prima, poi come stenografa e più tardi come operatrice di commutazione (telefonista scelta) alla Telve-Sip-Telecom, finché giunta alla pensione con 41 anni di servizio si è data alla letteratura scrivendo poesie e racconti. Attraverso questa sua passione ha conseguito parecchi premi e riconosci-menti, tanto da ricavarne una mostra personale indetta dal Comune e dalla Casa di Riposo di cui è ospite da circa nove anni. Fra i premi più importanti che le sono stati assegnati figurano un 2° e un 3° grado di Viareggio e Pescara, un 1° Italo-Tedesco di 4° grado del Centro Europeo di Roma e altri premi speciali sempre a Roma e di 3° grado ancora ad Aosta, La Spezia, Toscana, Campania e Sicilia, San Bonifacio di Verona, due premi speciali, e altri premi prestigiosi di cui è orgogliosa. Scrive racconti sui giornali ed è stata intervistata più volte dai quotidiani.

 

PRIMA GUERRA MONDIALE 1915 - 1918

21 Marzo 1918
ore 3 del mattino
nascita della sottoscritta
e
ultimo allarme di guerra
per la città di Vicenza

Il racconto di mia madre fu questo:

Tutti gli abitanti della casa nostra, in Via Fogazzaro 76 se n’erano scappati giù nelle cantine, portando con loro anche i miei due fratellini, cioè mia sorella di 4 anni e mio fratello di 3, e mia madre era rimasta sopra coraggiosamente. La nonna ostetrica, aveva dovuto andare al proprio lavoro, presso la famiglia del Coll.llo Margaria seppi più tardi, dove anche là nasceva un figlio.

Dopo poco a guerra finita, -malattia- per tutti i bambini - morbillo! che lasciò un decupito a tutti di un malanno che dura ancora e rovinato ha la vita di chi l’aveva preso; allora c’era un professore tedesco nell’ospedale dove siamo stati operati quasi tutti ma purtroppo a me tocco’ anche un’infezione e dovetti subir un’altro intervento, che ricordo. come fosse ieri, sebbene di quattro o cinque anni, perché poi dovevo andare a scuola. Più tardi scuola Elementare fino alla quinta classe, quindi Regia scuola secondaria Tecnico - commerciale. Quindi impiego definitivo come telefonista alla Centrale Telve per 41 anni.

1940 - 1945
Seconda guerra Mondiale
1946 matrimonio sottoscritta

1950 - Partenza per Jesolo paese titolare Telefono Pubblico per far lavorare pure mio marito.
1951- Alluvione del Polesine
1953 - Ritorno Centrale telefonica Vicenza per guai famigliari

 

LA MIA MAESTRA DELLE ELEMENTARI

Chi non ricorda chi ci ha iniziato verso i primi passi dell’A,B,C,D? Tanti anni passati son, ma Lei, la cara signorina Erminia, colei, che classificata già mi avèa tra le -buone- e il 10 in condotta e non il sei, sempre metteva nei quaderni miei, amar subito si fece, perché in più i ‘Santini’ si mise a regalar a profusione a tutte di allor, più -buone!- Ricordo che, poverina,un pò anziana era, zoppicar sempre la vedemmo, mattina o sera, avea le scarpe alte allacciate con i cordoni, e lo scender dalla cattedra per passare tra i ‘banconi’, che allor di legno massiccio eran alti come -troni- le costava chissà che sforzo, a cui solo oggi posso pensar.
Credo di aver ricevuto più carezze da lei che dai fratelli miei! Perché tanto affetto? Per la mia serietà, ma anche per quei famosi ‘riccioli inanellati’, si sa, che purtroppo, tanto arrossir mi fecero a quell’età, finché, più tardi, cresciuta alquanto, non li raccolsi in trecce, col permesso di papà! È inutile chiedersi il perché, di lui, papà, ma per mio padre proprio era un segno di beltà, come fosse solo un merito suo e non anche di mammà un’ambizione in lui, che continuò per anni, in verità!
E la mia maestra, tanto sola , senza figli o nipotini, affettuosa com’era, se per strada mi vedeva, con i miei vicini, il viso mi stringeva fra le mani, e teneramente mi baciava.
Una mattina, anche, insieme alla mamma mia, salir mi fece, nell’ appartamentino suo, in una via, che ancor ricordo molto bene, mi mise fra le mani, un cuscinetto di soffice seta rosa, con disteso su di esso, un bambinello di porcellana, bellissimo anch’esso, che senz’altro era Gesù Bambino, perché Natale era. Infatti pochi giorni dopo recitammo a scuola, una poesia, ma era però già l’Epifania, e in dono ricevetti, per la recita mia, perché ero stata brava, una poltroncina in ferro, smaltato, che assai pesava, con la base rotonda e con lo schienale se non erro, per appoggiar la bambola come fosse viva per davvero!
E qui, però, non posso dir che fu sempre essa la maestra delle elementari, perché in terza ne ebbi un’altra, e in quarta e quinta un’altra ancora, anzi dovetti finirle le due ultime classi in un’altra scuola,all’altro lato della città perché in centro c’erano troppi alunni iscritti, e proprio io dovetti farmi quell’altra strada fuori dal centro dove abitavo, soffrendone assai perché dovevo alzarmi prima mentre i miei fratelli rimasti là, se la godevano a dormire ancora un po'!

 

RICORDI CARI DI GIOVENTU'

Questi miei ricordi in lingua italiana, è una parte di ciò che rammento di quegli anni trenta, soprattutto perché se n’è parlato di recente nei nostri giornali veneti.
Appartenendo io a quell’epoca per me antica appunto, cerco ugualmente di esternarmi in ciò che scrivo.. Quell’epoca in cui le strade non erano ancora strade e le case soltanto al centro della città, o a ridosso dei paesi ; per lo più casupole e casolari, qualche villa o casa vecchia tenuta bene secondo la possibilità dei proprietari. Si era un pò più poveri, ma di certo più contenti e sereni. A me sembra di sentire sempre le ruote dei carri e dei carretti sul selciato di sassi, ricordo pure la nebbia a settembre, tempo delle giostre a Campo Marzio di Vicenza; ancora rammento benissimo, che appena fuori della nostra Porta S. Croce, c’erano dei contadini (chi in bicicletta, chi a piedi) che venivano dai campi delle frazioni vicine per portare il latte in latteria grande, e sbattacchiavano talmente i bidoni che mi sembra ancora di sentirlo insieme al brusio delle loro chiacchiere riguardanti la serata passata in osteria.
In città, invece, in Piazza dei Signori, si preparava il famoso palco in ferro e legno per la Domenica, attesa, sempre entusiasticamente dai cittadini perché arrivava la Fanfara che dava vivacità a tutti e tanta allegria.
Peccato che tanta gente del mio tempo non ci sia più per parlarne assieme! Ecco perché voglio spiegare anche alle altre Regioni quanto ci rallegrava un tempo una piccola orchestra di città suonata dalla cosiddetta ‘Banda Cittadina’ a cui dedico questo mio ricordo.
Ha più di cent’anni
la Banda che ha sempre
suonato a Vicenza
ed è sempre giovane
e fresca come una volta :
«giacca blu, berretto blu»
e... le ragazze in «mini» come allora.
Tra marce e canzonette,
ariette e pezzi d’opera
aveva un lista lunga
di musiche stupende
che suonava per le piazze
con le majorette in testa
proprio come una gran città.
Quando facea concerti,
saliva su di un gran palco
composto a scalinata,
con i tromboni in alto
e gli altri tutti in mezzo
intorno ai lor tamburi
e al podio del maestro,
che con la «bacchetta» in mano
dirigeva tutto il concerto
fra grida e battimano
perché la Banda cittadina
gloria creava alla gente vicentina !

Le note delle grandi Opere tanto commovevano ma Festa era veramente quando squillavano le trombe con gli inni dell’allora “Patria”!

continua

- VETRINA LETTERARIA -

 
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