Racconto di Dorina Alessandra
DORINA ALESSANDRA 

«Le pantofole turchine»

Il giovane si fermò presso l'arabo accovacciato davanti alla cesta. La guardò attentamente: conteneva solo pantofole ricamate. Le fissò affascinato; gli ricordavano qualcosa.
Il venditore era molto vecchio: dei radi fili bianchi sporgevano dalla «taghia» rossa poggiata sulla sua testa rugosa. «Quanto costano?», chiese il giovane, tanto per giustificare il suo interesse.
«Dieci piastre - rispose il vecchio pacatamente. - Scegli quelle che vuoi».
Il giovane, troppo timido per rifiutare, si accoccolò e cominciò a cercare nel mucchio. Improvvisamente se la trovò in mano: era la sua pantofola, ne era certo.
Toccò con delicatezza la seta turchina, i gentili ricami in oro e argento... Un mare di ricordi lo sommerse. Si sentiva emozionato come se avesse ritrovato un giorno della sua vita.
«Vorrei la compagna», chiese con voce tremante. Il vecchio la tirò immediatamente fuori dal mucchio, come se sapesse precisamente dove fosse. Il giovane pagò e, con le due pantofole in mano, si diresse come un automa verso l'albergo.
Ricordava: undici anni avanti, primo viaggio in nave con suo padre nella bella città araba dove ora era tornato. Sole anche allora accecante, cielo terso e d'un turchino così lucente da sembrare lucidato a mano. Si era innamorato di colpo di quelle pantofole di seta dello stesso colore del cielo e suo padre gliele aveva regalate. Aveva voluto provarle subito.
Guardò la suola: era un po' annerita e impolverata, come se avesse toccato terra solo per poco.
Suo padre l'aveva fatto fermare davanti a una porticina di legno grezzo, ben chiusa da un forte chiavistello in ferro. Un imponente giannizzero l'aveva tirato via dal fodero senza sforzo spalancando il passaggio davanti a loro.
«Ecco il deserto», gli aveva detto suo padre. Lui aveva guardato e aveva visto un'immensa distesa d'oro che si elevava in tumuli, correva nel piano e formava montagne. Il sole di mezzogiorno rendeva ancora più terribile quell'aurea immensità, che lo intimidiva per la sua imponenza e lo faceva sentire sperduto, come davanti all'infinito. Tre cammelli erano accovacciati davanti al varco. Masticavano tranquilli. La sella di lana colorata terminava in mappe vistose. Di eguali ne ornavano anche le briglie e i paraocchi degli animali.
«Sali - lo invitò suo padre. - Vai!».
Lui aveva arricciato il naso. L'odore acre delle bestie lo infastidiva. Preferiva tornare sulla nave. Prima che la porticina venisse rinchiusa, si volse un'ultima volta a guardare il deserto. Per un istante ebbe l'impulso di tornare indietro, di affrontare quell'ignoto infinito, ma fu solo un attimo d'indecisione, poi seguì lemme lemme suo padre.
Si fermarono davanti a una moschea. Ubbidiente, anche se con rammarico, si tolse le pantofole ricamate e le lasciò, insieme alle altre calzature, davanti alla soglia.
Deluso dalla semplicità degli arredi della moschea, in contrasto con la magnificenza e pomposità delle chiese che conosceva, ne era uscito frettoloso, prima degli altri.
Le sue pantofole erano scomparse.
Tutte le altre scarpe erano lì, allineate con cura, mancavano solo le sue pantofole di seta turchina.
Riprovò il dispiacere e la rabbia di quei momenti. Suo padre che voleva ricomprargliele, ma lui non aveva accettato. Non sarebbero state le «sue» pantofole.
E ora, improvvisamente, ritornato dopo tanti anni nella stessa città, ecco che le ritrovava. Perché erano proprio le sue pantofole, ne era certo. Le contemplò estasiato. Sdraiato sul letto dell'albergo, non faceva che accarezzarle come se fossero state delle creature. A un tratto notò qualcosa di strano: le due pantofole erano diverse.
Le pose sulla coperta, una accanto all'altra, cercando di capire in cosa consistesse la diversità.
Le riguardò attentamente: stesso colore, stesso ricamo... Le suole entrambe impolverate e annerite... finalmente capì. Una era più piccola dell'altra. Le misurò con attenzione. Non erano della stessa misura.
Come era possibile? Eppure non gli sembrava di averne notate di eguali nel cesto dell'arabo.
Si alzò in fretta. Ficcatosi le pantofole nelle due tasche laterali dei pantaloni, si diresse veloce verso il mercatino. Era ancora chiaro. C'era molta gente in giro e non avrebbe faticato a rintracciare il vecchio arabo col suo cesto colmo di pantofole. Invece non lo trovò. Cercò, girò, guardò attentamente dovunque. Chiese di lui, ma forse non riusciva a farsi capire, nessuno sembrava averlo mai visto. Non mostrò le pantofole. Un timore segreto lo trattenne. Anzi, le mani nelle tasche, le controllava costantemente per rassicurarsi della loro esistenza.
Confuso, non volendo arrendersi all'evidenza, girò e rigirò per il mercato varie volte.
La luce del giorno andava diminuendo sempre più. Alcuni venditori cominciavano a raccogliere le loro mercanzie, improvvisamente si trovò davanti alla porticina di legno. A guardia nessun giannizzero. Una veloce occhiata all'intorno: sembrava che nessuno lo osservasse: tutti erano indaffarati e immersi nelle loro faccende. Tirò il chiavistello e la porticina si aprì.
Un cammello solitario, accovacciato sulla sabbia, masticava lentamente. Scrutò davanti a sé: gli ultimi raggi del sole calante incendiavano la sabbia sottile. Una leggera angoscia lo prese. Il vecchio venditore - non ci avrebbe giurato, ma gli sembrava proprio lui - gli fu accanto. Teneva la cavezza del cammello nella mano destra.
«Sali, “arfi”? - gli chiese. - È l'ultimo viaggio prima della lunga notte».
«Quanto costa?», chiese il giovane, più per abitudine, che perché gliene importasse.
«Dieci piastre», rispose il vecchio.
Il giovane stava per mettere le mani in tasca, ma il vecchio lo fermò ossequioso.
«Dopo, dopo... Ora monta». E con un gesto deferente lo aiutò a salire.
Il giovane, come un sonnambulo, si arrampicò sul cammello e si sistemò sulla sella di lana colorata. Pungeva. Non appena l'animale, al comando del vecchio, si drizzò in piedi, perse l'equilibrio.
Spaventato, si attaccò al collo del cammello, maledicendo la sua timidezza.
Perché aveva accettato quel viaggio? Il cammello cominciò ad andare e il giovane si ricordò che soffriva di vertigini. Avrebbe voluto gridare al vecchio di fermarsi, ma la voce non gli uscì dalla gola.
Terrorizzato, abbrancato al collo dell'animale, non ne sentiva neppure l'acre odore. Si dava solo dello stupido e dell'imprudente per aver aderito all'invito. Per recarsi poi dove?
La luce andava smorzandosi. Fra poco sarebbe stato buio fitto. Si sentì morire. Attorno a lui sabbia, solo sabbia all'infinito. Chiuse gli occhi per non vedere.
Improvvisamente il cammello si fermò. Il giovane aprì gli occhi e li rivolse attonito attorno. Il vecchio, sorridendogli, lo invitò con la mano: «Scendi, “arfi”. Siamo arrivati».
E fece inginocchiare l'animale sulla sabbia. Il giovane, confuso, non sapeva come venir giù. Il vecchio, senza scomporsi, l'afferrò sotto le ascelle come una fanciulla e lo depose per terra. Il suo volto sembrava imperturbabile, ma il giovane avrebbe giurato che in cuor suo rideva di lui.
Sempre più mortificato, solo dopo aver appoggiato i piedi a terra, si rese conto della tenda.
Era immensa, di tela colorata, unica in quell'immenso deserto. Due beduine, intabarrate in barracani vistosi, lo presero per mano come se fosse un bambino e lo guidarono all'interno.
Il giovane si ricordò che non aveva pagato la corsa. Avrebbe voluto tornare indietro, ma le due donne lo trascinarono avanti.
Sempre più impacciato si limitava a farsi guidare. Quella tenda sembrava senza fine. Lampade a olio la illuminavano, spessi tappeti erano stesi sulla sabbia. Le beduine si fermarono e lui cadde quasi in avanti. Una donna, languidamente appoggiata su cuscini di seta, sembrava aspettarlo.
Aveva il volto velato.
«Benvenuto!», lo salutò nella sua lingua, senza scoprirsi. La voce, giovane e gradevole, pronunciò quelle parole in modo strano, come se la lingua fosse sbagliata in quel contesto.
Batté le mani - le aveva piccole e bianche - e le due beduine si ritirarono.
«Siedi», gli ordinò. La sua voce risuonò ferma.
Il giovane, sempre più confuso, si accovacciò per terra. Non è che stesse comodo, poi... era tutto così strano! Se non fosse stato per le pantofole, che ogni tanto tastava, avrebbe creduto di sognare.
Seduto di fronte alla donna, cercava inutilmente di indovinarne i lineamenti. Quanti anni poteva avere? Venti come cento; le mani sembravano giovani, comunque lo infastidiva il fatto di essere visto e di non poter vedere.
Le due beduine tornarono con delle vivande: focacce calde farcite con uova e verdure, capretto al forno profumato alle erbe, e un liquore dolcissimo che gli andò subito alla testa.
La donna stava in silenzio. Il giovane cominciò a mangiare. I cibi erano saporiti, e la sua ospite lo serviva con amabilità. E proprio mentre lo serviva, la lunga veste che indossava si spostò rivelando il suo piede: calzava una pantofola di seta turchina lavorata in oro e in argento.
Il giovane la fissò incredulo. Sembrava identica a quelle in suo possesso. Cercò con lo sguardo l'altro piede. La lunga veste lo nascondeva.
Avrebbe voluto chiederle di mostrarglielo, ma la timidezza lo bloccò e, seppure con maggior fatica, riprese a mangiare.
La donna non staccava gli occhi da lui e gli mesceva il liquore. Lui ricambiava inutilmente lo sguardo. Avrebbe voluto fare mille domande, ma una forza inconscia lo tratteneva e taceva.
Le beduine portarono via i piatti vuoti e la misteriosa ospite gli porse una ciotola di acqua tiepida con dentro petali di rosa perché si lavasse le dita. Ora che cosa sarebbe successo? Gli avrebbero portato il conto e invitato ad andar via? E la pantofola?
Non seppe mai da dove trasse il coraggio per estrarre dalle tasche le due pantofole. Le pose davanti alla sconosciuta, la cui risata risuonò squillante, confondendolo.
«Ebbene?», chiese la donna misteriosa.
Lui rimise la sua pantofola in tasca e con un atto quasi eroico chiese: «Mi mostreresti l'altro piede?».
La donna ora non rideva più. Con grazia scostò la veste e mostrò il piede nudo. Lui prese con delicatezza la pantofola davanti a sé e gliela calzò.

Copyright © 1994

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