Racconto di Mariagrazia Barengo
MARIAGRAZIA BARENGO 

«Cordelia»

CAPITOLO PRIMO

Sono tornati! Quasi non riesco a crederci, dopo tanto tempo... eppure no, non mi posso sbagliare. È vero, ormai sono vecchia, i miei occhi sono un po' offuscati, ma le ombre che ho visto passare non mi sono familiari. Sono ottanta anni che vivo qui, in questo posto così solitario. E pensare che tanti anni fa le case intorno erano tutte abitate, la gente veniva qui dalla città per ritrovare la pace. Già, la pace. Insomma, quando avevo vent'anni, li vidi arrivare per la prima volta al palazzotto (anche se mia madre mi diceva che lei li aveva già visti trent'anni prima). A dire il vero, ci furono mormorii e pettegolezzi in paese: devo ammettere che i tre uomini avevano un che di insolito, ma le tre donne! I pochi che riuscirono a vederle... oh Dio, vederle si fa per dire: portavano un cappello con veletta e una mantella, ma la cosa più strana è che erano tutte incinte!
Entrarono in casa e non si videro mai uscire; gli uomini, invece, giravano qua e là, ma la gente li sentiva... come dire, troppo estranei e cercava di evitarli.
Insomma, per farla breve, la notte dal 23 al 24 giugno 1934 me la ricordo come se fosse adesso: urla e gemiti al palazzotto, poi strilli infantili e infine un pianto di donna lungo, disperato.
All'alba, ripartirono in otto: avevano due fagotti urlanti in più, ma dov'era il terzo? Eppure, nessuna più aveva il pancione. In paese, qualche coraggioso ci fu che cercò di entrare nella casa per risolvere il mistero, ma questa era assolutamente impenetrabile.
Si andò poi avanti per parecchio tempo a parlarne, ma venne la guerra, ci furono morti e distruzioni anche qui, e la faccenda fu dimenticata. Io mi sposai nel '45, mio marito aveva un po’ di terra e rimanemmo in paese. Un anno dopo nacque il maschietto, poi le due gemelle. Orami, molte case erano disabitate e, sempre più, sembrava gravare sul posto una sorta di tristezza.

* * *

Si avvicinava la fine di giugno, io e mio marito eravamo soli sotto il portico a goderci il fresco; che volete, era fatale, era inevitabile andare con il pensiero alle cose passate. Alzando gli occhi e guardando il palazzotto, avevo aperto la bocca per dirgli: «Ti ricordi di quando...», ma la bocca rimase aperta per la sorpresa; seguendo il mio sguardo stralunato, mio marito girò lo sguardo e anche lui vide una grande macchina nera che si avvicinava al portale del palazzotto.
Allora, ci nascondemmo cautamente dietro le foglie. Non saprei dire perché lo facemmo, ma l'istinto ci suggeriva di non attirare in alcun modo la loro attenzione. Giunta al portale, la macchina nera si fermò e ne scesero prima due uomini che stranamente, malgrado il caldo, portavano un lungo soprabito e il cappello; poi, aperte le portiere posteriori, aiutarono a scendere due donne. Dio, se avevano bisogno di aiuto! Erano ambedue appesantite da una avanzata gravidanza. Camminando faticosamente, entrarono in casa, sempre sorrette dai compagni.
Ma chi aveva loro aperto la porta? Io non avevo visto entrare nessun altro, neanche il giorno prima. E poi era tutta chiusa, silenziosa... e poi... e poi... Basta, alla fine ci decidemmo a rientrare in casa, ma in quanto a dormire, quello era un altro discorso. E perché questo, e perché quello, e perché anche le donne portavano un cappello che nascondeva loro quasi completamente la faccia? E perché avevano abiti che le coprivano dal collo ai piedi? Era chiaro che non volevano essere riconosciute, ma perché?
Alla fine mi addormentai con il mal di testa, che purtroppo continuò ininterrottamente nei giorni seguenti. Alla casa tutto era silenzio. Una notte che il mal di testa era peggiore del solito, mi alzai dal letto per fare due passi in giardino. Caspita, la casa aveva una finestra illuminata e si sentivano delle voci. Tornai di corsa in casa per svegliare mio marito, ma russava così saporitamente che non ebbi il coraggio di svegliarlo. Eh, la curiosità ebbe il sopravvento sulla prudenza e sul buon senso: piano piano mi avvicinai al palazzotto, ma la finestra era troppo alta per me. Raccolti allora alcune pietre, che si trovavano lì accanto, ne feci un mucchio, vi salii e guardai dentro.
Non so bene cosa mi aspettassi, ma quello che vidi mi lasciò di stucco: le due donne erano distese ognuna su un lettino, avevano le doglie e si lamentavano. Ma la figura vicino a loro attirò la mia attenzione in modo particolare: era questa una donna alta, vestita di bianco; era sulla trentina, ma i lisci e lunghi capelli erano bianchissimi e quando alzò lo sguardo vidi che anche gli occhi erano bianchi, eppure profondi ed espressivi. Si muoveva con maestà e grazia, come una sacerdotessa che esegue un rito. Ero spaventata, ma anche affascinata. I due uomini, che si trovavano invece più scostati, portavano dei mantelli rossi con il cappuccio.
Finalmente (e permettetemi di sorvolare i particolari) nacque il primo bambino. Gli uomini lo porsero alla donna dai capelli bianchi, ma ella lo guardò e scosse il capo. Vidi che era una femminuccia, perfettamente formata. Allora la bimba fu resti-tuita alla madre che se la strinse al seno con veemenza, come se temesse potessero portargliela via. La tensione cresceva. in attesa del secondo. Finalmente, un vagito annunciò la nascita: era un'altra bambina. Anche questa fu porta alla donna dai capelli bianchi che la guardò, poi la prese e la innalzò. Non c’era gioia nel suo sguardo, ma solo la consapevolezza di un dovere per lei forse triste e tragico...
Stavo forse per conoscere il mistero della casa? Morivo di curiosità, ma anche di paura. E proprio la paura mi fece fare un movimento brusco, le pietre si mossero e io mi ritrovai con un piede incastrato, ferito e dolorante. Ero paralizzata di terrore al pensiero che dentro avessero sentito, ma per fortuna in quel momento il temporale, che minacciava da qualche ora, scoppiò con un tale fragore di tuoni che avrebbe coperto qualsiasi altro rumore. Ma ormai, la pioggia battente mi impediva di rimanere e così, bagnata fradicia, tornai in casa mia. Mi cambiai al buio per non svegliare mio marito: non so perché, ma qualcosa mi diceva di tacere. Era illogico, irrazionale, tutto quello che volete, ma non parlai. E nemmeno il giorno seguente, quando mi accorsi che il palazzotto era nuovamente chiuso.
Ripensai molte volte alla infinita malinconia nello sguardo della donna dai capelli bianchi, e ogni volta mi sentivo in qualche modo partecipe del suo dolore. Ero sicura che nulla di male era stato fatto alla bambina, ma che forse l'aspettava uno strano destino.

CAPITOLO SECONDO

Io ripresi la mia vita tranquilla. Le case vuote nel paese aumentavano di giorno in giorno. I miei figli tornarono dall'università, poi ebbero delle ottime proposte di lavoro all'estero e se ne andarono, prima l'uno e poi le altre. Ci scrivevamo frequentemente e, quando potevano, venivano a trovarci. Due si sposarono ed ebbero a loro volta dei figli. Io e mio marito andammo una volta a casa loro, ma vivevano tanto lontano; noi invecchiavamo, non avevamo grandi possibilità economiche e così, alla fine, non ci allontanammo più dal paese. Nel 1988 mi marito si ammalò e morì. Fu una durissima perdita. Quando, dopo i funerali, i miei figli e le loro famiglie se ne andarono, la mia solitudine mi spaventò. Fui quasi tentata di andare a vivere in Germania con la figlia non sposata, ma sapevo che sarebbe stato uno sbaglio. Io ero sempre vissuta in questi luoghi, li amavo, conoscevo ogni strada, ogni sentiero, ogni albero. La mia casa era piena di ricordi. La finestra di fronte alla quale mi sedevo per leggere o per cucire valeva per me come una compagna. E poi, il gatto che faceva le fusa, il cane quasi cieco che dormicchiava tutto il giorno... Insomma, rimasi. E anche se vi sembra strano, pensavo ancora alla misteriosa donna e mi sembrava che, in qualche modo, mi fosse vicina.
Ormai la mia vita è calma e lenta, in armonia con la natura che scandisce il nascere e il tramonto del sole, il ritmo delle stagioni, il bello e il cattivo tempo.
Ero qui alla mia finestra prediletta quando li vidi arrivare. Due. Questa volta erano solo due. Un uomo e una donna... incinta. Anche stavolta bastò girare la maniglia per aprire la porta.
Anche stavolta l'uomo aiutò la donna affaticata e sofferente. Entrarono. Sarete proprio sorpresi quando vi dirò che eravamo verso la fine di giugno? E che erano passati esattamente trenta anni da quando avevo visto la donna dai capelli bianchi? E altri trent'anni da quando l'arrivo di tre uomini e tre donne fece scalpore in paese? E mia madre, allora, mi disse che già lei, trent'anni prima, li aveva visti...
Allora, cosa avveniva al palazzotto ogni trent'anni? E perché uno dei neonati non ripartiva?
La curiosità e l'agitazione scossero il torpore sonnolento della vecchiaia. Il sangue tornò a scorrermi fluidamente nelle vene. Non sentivo più i miei ottant'anni. Cercai di calmarmi, di dormire. Niente. Alla fine, decisi che avrei risolto il mistero una volta per tutte: quindi, avrei dormito di giorno e passato la notte in osservazione, certa che avrei visto, prima o poi, illuminarsi di nuovo una finestra.

* * *

Piove. Piove ininterrottamente da due giorni, e io sto vivendo in uno stato di semi-incoscienza a causa della mancanza di un buon sonno notturno ristoratore. Per di più, cerco di tenere d'occhio la casa misteriosa anche di giorno, perlomeno quando posso. E come se non bastasse, mi è tornato un gran mal di testa.

* * *

Toh! È uscito il sole, finalmente. Basta, vado, esco. Ho terribilmente bisogno di un po' d'aria.
Ci metterò un attimo a vestirmi, tanto non credo che incontrerò nessuno.

* * *

Ci voleva proprio una passeggiata, mi sento rinascere. Tutto sembra diverso, più bello, più profumato, più dolce... Ma ora forse mi sto allontanando troppo, è meglio che torni a casa. Oh no, si è rimesso a piovere, così arriverò bagnata fradicia. Devo assolutamente trovare un riparo... Ecco, la chiesa; la chiesa è proprio qui a due passi.

CAPITOLO TERZO

Oggi è giovedì 20 luglio. È passato un mese da quando ebbero inizio gli strani avvenimenti che ho raccontato. Ora sono calma, ma per tutto il tempo che mi resta da vivere non sarò mai più la donna di prima. Credo che nessuno potrebbe esserlo, dopo aver visto e sentito ciò che ho visto e sentito io. Ma non mi dispiace di questo, anzi. Io sono sempre stata una donna molto concreta, realistica, e per niente incline al mistero. Quello che contava, per me, erano solo la realtà quotidiana, la salute e il lato economico. Credetemi, c'è ben altro. Purtroppo io non ho potuto studiare molto, per cui non posso che raccontarvi come si svolsero i fatti; le conclusioni, traetele voi. Anzi, se qualcuno troverà in questo una conferma alle sue esperienze personali o alle sue teorie, ne sarò contenta. Io ho varcato la soglia di un mondo che non è ai confini, ma oltre la realtà. Ora non ho più paura della solitudine e della morte, so che il mio spirito non si dissolverà con il mio corpo.
Ora so che l'uomo, che tutti gli uomini sono attesi in un luogo di pace, di armonia e di amore: la cosa più difficile è proprio trovare la strada per questo luogo...
Dunque, ritorniamo a quel pomeriggio in cui mi rifugiai in chiesa per via dell'acquazzone.
All'interno c'erano solo due o tre persone e il prete. Mi sentivo a disagio, ma poco a poco mi rilassai. Mi tornarono in mente le preghiere che mi avevano insegnato da bambina, e così mi trattenni più di quanto avevo previsto. Fu quando il prete si alzò che mi venne un'idea: avevo sentito dire che esisteva un archivio storico relativo agli abitanti del paese. Quindi perché non provare a cercare le tracce degli antichi proprietari del palazzotto? Mi accostai al parroco e gli spiegai quello che avevo in mente. Con mia sorpresa, si dimostrò subito disponibile, e mi invitò ad entrare in sacrestia. Ero un po' intimidita, ma lui riuscì a mettermi talmente a mio agio che decisi di raccontargli tutto. Mi ascoltò quasi senza interrompermi e si può dire che alla fine era quasi più curioso di me. Ci tuffammo tra le pagine di registri sempre più antichi, ma non trovavamo assolutamente nulla.
Eravamo completamente scoraggiati quando giunse la sera, e devo ammettere che fu solo grazie alla sua costanza che trovammo la traccia. Era una registrazione di duecento anni fa che attestava la proprietà del palazzotto alla famiglia... In un foglio a parte, si specificava che erano state utilizzate le fondamenta di un'antica costruzione in pietra di cui non si conosceva l'origine.
Scoprimmo poi che le tracce della famiglia... si perdevano una novantina di anni fa, con la morte dell'ultimo proprietario.
S'era fatto molto tardi, non avevamo ancora cenato ed eravamo terribilmente stanchi. Per di più, io ero un po' sconvolta da quello che avevo appreso: il mio cognome era il medesimo dei proprietari della casa. Cosa voleva dire? Non avevo mai pensato alle origini remote della mia famiglia, ma ora la cosa assumeva tutt'altro aspetto. Avevo bisogno di pensare, di riflettere, di restare sola; ringraziai il prete per la sua gentilezza e per il suo interessamento, gli promisi che sarei senz'altro tornata e me ne andai. Ormai era buio pesto, ma non me ne preoccupavo per niente. Feci male, perché immersa com'ero nei miei pensieri, non feci caso ad una buca nella strada, inciampai e mi ritrovai a terra. Mentre cercavo, con grandi difficoltà, di rialzarmi, venne in mio soccorso una donna che avevo già intravisto qualche volta da lontano. Fu molto gentile e mi invitò ad entrare in casa sua a rinfrancarmi un po'. Accettai molto riconoscente.
Mi disse che mi conosceva e che sapeva dove abitavo. Lì per lì non ci feci caso, ma più parlava e più mi incuriosiva. Fui anche molto stupita nell'accorgermi che i capelli bianchi e gli occhiali un po' scuri mi avevano ingannata: infatti, il suo viso era piuttosto giovanile e credo avesse parecchi anni meno di me. Il suo modo di muoversi era molto armonioso e man mano che continuava a parlare mi sentivo avvolgere da un'atmosfera di sogno. Non era certamente una donna comune, e mi stupiva molto che vivesse in un piccolo paese come il mio. Piano piano, quasi senza rendermene conto, affiorò alla mia mente il ricordo della donna dai capelli bianchi che avevo visto quella famosa notte di trent'anni prima.
Come se avesse letto nei miei pensieri, in quel momento si tolse gli occhiali: non posso dire come rimasi quando vidi che aveva gli occhi bianchi!
Era lei, non c'era dubbio! La donna sorrise e mi prese le mani in un gesto di amicizia. Io tremavo, ma lei mi disse: «Non devi avere paura, io ti sono amica».
«Ma io mi sento in colpa verso di te, quella notte ho spiato dalla finestra e ho visto quello che forse nessuno avrebbe dovuto vedere».
«Io lo sapevo, ma ti è stato permesso».
Rimasi allibita. Avrei voluto fare un sacco di domande, ma mi uscì solo uno strozzato: «Perché?».
«Perché tu appartieni alla famiglia a cui dobbiamo molta riconoscenza».
«Non capisco».
«Ascolta. Più di duemila anni fa, questa terra era abitata dai Salassi, un fiero popolo che lottò strenuamente contro i romani invasori. La prima grande battaglia fu vinta sì dai Salassi, ma i romani non demordevano, li perseguitavano continuamente. Piano piano, furono costretti a cercare luoghi sempre più sicuri, sia per poter vivere che per organizzarsi per la probabile prossima battaglia. Infatti, erano consapevoli che la vendetta romana non avrebbe tardato. Scavarono rifugi sottoterra, per potervisi rifugiare in caso di pericolo. Sai che quello che chiami il palazzotto fu eretto sulle fondamenta di un edificio in pietra: quello era l'ingresso di una serie di gallerie e di caverne sotterranee.
All'inizio era una miniera d'oro, ma fu poi resa confortevole e adatta alla vita di parecchia gente. Furono portati viveri e armi, con la speranza di poter resistere ad un lungo assedio.
«Vivevano ancora abbastanza serenamente all'aria aperta, quando un giorno arrivò un manipolo di soldati romani. Per fortuna non avevano intenzioni particolarmente bellicose, e si stanziarono poco distante da qui. Il centurione che li comandava si chiamava Magus: era un bell'uomo sulla trentina, che quando non era di servizio girovagava per i boschi e i prati, in cerca di piante ed erbe strane. «Dopo qualche giorno, fu chiaro che i soldati non avrebbero dato fastidio a nessuno, a meno di non esserne costretti. Piano piano i Salassi, pur con circospezione, dapprima ripresero le loro occupazioni normali all'aria aperta, poi decisero di celebrare ugualmente i loro riti, a cui per tradizione e per religione non potevano rinunciare. Per il solstizio d'estate, sopra un'altura vennero accesi dei grandi falò sistemati in circolo, in modo da racchiudere all'interno di esso l'ara su cui la sacerdotessa avrebbe officiato il rito delle offerte propiziatorie. All'esterno del cerchio di fuoco, stava tutto il popolo in raccoglimento. La sacerdotessa arrivò, seguita da quattro fanciulle che rappresentavano le stagioni, entrò nel cerchio di fuoco e si assise sull'ara. Ella rappresentava la Grande Madre Terra e una fanciulla, la primavera, la ricoprì di fiori; l'estate donò spighe di grano e l'autunno foglie e frutti. L'inverno portava in braccio un agnello per simboleggiare il bianco della neve e il sacrificio degli animali che ci nutrono.
«Il rito venne accompagnato da un bellissimo e gioioso canto, intonato da tutto il popolo. I soldati romani assistevano di nascosto, meravigliati. Magus ne fu colpito in modo particolare: la sua sensazione venne ingigantita dal fascino misterioso che esercitava su di lui la sacerdotessa. Prima che finisse la cerimonia, si accorse di amarla, e che questo amore sarebbe durato per sempre. Poi la sacerdotessa, che si chiamava Cordelia, si alzò, sollevò al cielo i doni e cantò, nel silenzio della notte. La sua voce era la voce stessa della Terra, della Natura, del Cielo. Il popolo era prostrato in preghiera. I romani, commossi loro malgrado, fecero ritorno alle loro tende, ma Magus no. Magus avanzò fino al sentiero dove sarebbe passata Cordelia, e attese.
Quando ella arrivò, si inchinò, poi la guardò negli occhi. Rimase stupefatto al vedere che erano bianchi, e non riuscì a pronunciare una parola. Ma ella disse:
«“Non temere, romano, io posso vedere ciò che tu vedi, ma leggo anche dentro di te. Io conosco la sincerità del tuo animo e mi addolora il fatto che siamo nemici. Noi non siamo barbari, ma la nostra civiltà è diversa dalla vostra. Voi potete prendere con la forza le nostre terre e le nostre ricchezze, ma sappi che non ci renderete mai schiavi”.
«“Ascolta, donna sublime - rispose Magus - io non sono più tuo nemico. Tu per me rappresenti la Terra, la Vita... e l'Amore. Perché ti amo, Cordelia, e ti amerò per sempre”.
«“Anch'io ti amo, Magus, ma sappi che l'amore non mi è consentito. Non solo perché sei romano, ma perché io non posso appartenere a nessuno, mai.
Il castigo sarebbe terribile, perché le leggi del mio popolo sono severe. Io sono stata prescelta come sacerdotessa di un'antica religione in cui credo, in cui tutti crediamo. Se io tradissi, attirerei sul mio popolo l'ira della Dea. Addio”.
«Magus, disperato, si coprì il volto con le mani. Quando si riprese, la donna era scomparsa. «Passarono i giorni e Magus era sempre alla ricerca di Cordelia, ma non la vide mai. Non sapeva nemmeno dove vivesse. Una notte che girovagava per il bosco, fu attirato da un tenue suono verso una strana apertura della montagna. Il passaggio era stretto, ma dopo pochi metri si allargava. Incuriosito, Magus avanzò: dopo una svolta, si ritrovò in un grande locale, confortevole e caldo. Tre pareti erano ricoperte di stuoie variamente dipinte. Sul pavimento erano poste, come tappeti, grandi pelli di vari animali.
La parete più lontana, invece, era ricoperta di maschere d'oro, meravigliosamente cesellata e tutte diverse. Sotto la parete stessa, il pavimento era invece ricoperto da un grande tappeto di pelli di pecora, morbido e caldo, e sul tappeto era distesa, addormentata, Cordelia. Magus si avvicinò tremando, guardandola con adorazione ma senza osare di toccarla. Non voleva svegliarla, ma un sospiro gli sfuggì e la donna aprì gli occhi e lo vide. Non fu stupita. Disse solo: “Sapevo che saresti venuto”.
«E l'amore fu più forte delle leggi, dell'onore e delle religioni... Ma l'ira della Dea fu tremenda. Apparve loro prima che facesse giorno e disse: “Tu, romano, hai tradito la tua patria e hai sedotto una sacerdotessa. Meriti la morte. Ma tu, Cordelia, hai tradito tutto il tuo popolo, perché per colpa tua esso sarà distrutto e cancellato dalla faccia della terra. Molti saranno uccisi e molti sceglieranno di morire di propria mano. Di loro non si saprà più nulla e invano, nei secoli, si cercheranno le loro tracce”.
«La disperazione dei due infelici era immensa, ma le preghiere e le suppliche riuscirono a impietosire un poco la Dea. “Poiché avete tradito per amore, la punizione non sarà eterna. Tu, Magus, berrai questa pozione che ti farà vivere giovane per moltissimo tempo. Ma sarai infelice.
Ella berrà la medesima pozione, ma cadrà in un sonno simile alla morte. Ogni trent'anni, il tuo supplizio si ripeterà, perché una donna perfettamente simile a lei si presenterà a te. L'amore solamente ti permetterà di porre fine a questa maledizione: dovrai scoprire ogni volta se la donna sarà Veramente Cordelia. Se sbaglierai, sappi che ella morrà. Se indovinerai, potrai attendere ancora che ritorni a te. Potranno passare centinaia di anni, ma se l'ami veramente, sarai perdonato. E tu, Cordelia, sappi che se un giorno ti sveglierai, sarai l'unica rappresentante di un popolo scomparso. Forse il fato era in attesa, e tu sei stata solo il suo strumento”.
«Dette queste parole, la Dea porse loro la pozione; Cordelia bevve con gli occhi chiusi, pallidissima ma con fermezza: non dimenticava di essere stata una sacerdotessa; questo castigo significava sofferenza, ma anche purificazione e speranza. Poco dopo, il capo stava già reclinando.
Magus la prese tra le braccia e la tenne stretta, fino a che non diede più segni di vita. Allora bevve. La Dea prese la donna e, come se non avesse peso, la portò via con sé, dicendo a lui: “Io sola avrò cura di te”.
«Di Magus e Cordelia, nessuno seppe più nulla».

EPILOGO

Ero commossa, e tra le lacrime le chiesi:
«Saranno veramente perdonati?».
«Questa notte, la vera Cordelia si sveglierà. Sinora, Magus non ha mai sbagliato».
«Dove si trova?».
«Nella sala sotterranea».
«E se indovinerà, cosa riserverà loro il futuro?».
«Una vita d'amore».
«Ma si sentiranno persi, non conoscono nulla del mondo attuale».
«Magus è un uomo intelligente, in tutto questo tempo ha studiato. Gli sono stati portati molti libri. Sarà felice di insegnare a Cordelia tutto quello che ha imparato».
«Ma dove vivranno?».
«Nella tua casa, se tu lo permetterai; quella che tu chiami il palazzotto».
«La mia casa?».
«Sì, tu sei la discendente della famiglia...; l'ultimo proprietario, come te sapeva tutto e lasciò scritto che la casa non fosse venduta per nessun motivo. Ma ora tu sei la proprietaria e spetta a te decidere».
«Ne sarò felice».
«Ti ringrazio, a nome di tutti».
«Chi, tutti!».
«Tutti coloro che hanno contribuito a far sì che questa maledizione abbia una fine. Quelli che tu vedesti arrivare alla casa e poi andare via. Sono, anzi siamo, gli ultimi discendenti dei Salassi».
«Ma le bambine?».
«Sapevamo che ogni trent'anni si sarebbe verificata la nascita della sosia di Cordelia, ma non sapevamo chi sarebbe stata la madre; così, venivano tutte a partorire qui. Ed erano sempre meno. La bambina veniva allevata dalla donna che era stata presentata per ultima poi, terminato il suo compito, era libera di andarsene o di restare. Ora andiamo, il destino sta per compiersi».
Uscimmo nella notte. Finalmente, misi piede per la prima volta nella casa misteriosa; scendemmo gli scalini che portavano al sotterraneo ed arrivammo in una stanza non molto grande. Lì era adagiata la vera Cordelia. La mia compagna le si avvicinò, pronunciò strane parole e Cordelia aprì gli occhi. L'aiutò poi ad alzarsi e le fece bere un liquido profumato, che restituì un po' di colore alle gote pallidissime. Era spaventata e tremante: sapeva che era giunta la grande prova.
Ci avviammo verso la sala dove si trovava Magus in attesa. Al nostro ingresso, egli guardò Cordelia e gli parve, questa volta, di riconoscerla. Non ancora sicuro, si inginocchiò e le disse: «Donna sublime...». Allora, negli occhi di lei spuntò una lacrima. Finalmente non ebbe più dubbi: era lei. La prese tra le braccia, senza parlare. La maledizione era stata vinta. La dea aveva perdonato.

Copyright © 1994

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