Racconto di Mariagrazia Barengo
MARIAGRAZIA BARENGO

Uomo, umilmente ascolto

Da ywr maen gyda'r Efengyl
Buona è la pietra insieme col Vangelo
(antico proverbio gallese)

CAPITOLO PRIMO

La campanella della sveglia continuava a suonare insistente. Ad uno ad uno, i ragazzi della camerata si erano svegliati e si stavano vestendo per la messa delle sette. Come da molti giorni ormai succedeva, Ferruccio fu l'ultimo ad indossare la tonaca. Era spaventosamente pallido. Dovette fare un enorme sforzo per non mandare al diavolo l'assistente, che lo incalzava a fare più in fretta. Scese le scale in coda al gruppo, in modo da poter rimanere negli ultimi banchi. Che gli stava succedendo? La chiesa gli pareva angusta, soffocante, vuota. Vuota di spiritualità, di mistero. Vuota di Dio.
Dopo nove anni di seminario, tutto quello che gli avevano insegnato, e che aveva imparato ad accettare, non lo appagava più. Troppe le domande senza risposta... L'accettazione supina e incondizionata delle ferree regole del seminario avevano mutilato la sua vera natura. E la natura si ribellava.
Si sentì dare una gomitata nel fianco. Per fortuna il suo amico Giovanni si era accorto che l'assistente lo stava tenendo d'occhio. «Ehi, stai dormendo in piedi?».
«Cosa?».
«Ma vuoi prenderti una bella lavata di testa? Guarda che l'assistente ti ha preso di mira. Se proprio non hai voglia di pregare, almeno fingi...».
«Non sono un ipocrita!».
Due o tre teste si girarono, incuriosite. Sicuramente anche gli altri avevano sentito. Era male, molto male. Ferruccio cercò con lo sguardo l'assistente, ma non c'era più, era già sparito.
Dieci minuti dopo, la messa era finita. I seminaristi si affrettarono verso il refettorio, dove li aspettava la colazione. La lunga tavolata era piuttosto animata, allegra, e nessuno s'interessò a Ferruccio in modo particolare.
Tranne l'assistente.
Non gli era sfuggito il parlottare sommesso del ragazzo con Sean, il giovane irlandese adottato molti anni prima da una famiglia di Chieri. Sean avrebbe terminato l'anno scolastico, ma non aveva intenzione di professare i voti, malgrado la assillante insistenza della madre adottiva che aveva visto un segno del cielo nel fatto che esistesse un seminario proprio nella sua cittadina. Non avrebbe potuto sopportare una così grande delusione, dopo tutto quello che aveva fatto per lui, poi... Ma Sean era stato irremovibile. Non era nato per il sacerdozio, sarebbe diventato un pessimo prete. Invece avrebbe fatto l'archeologo: le pietre, i grandi monoliti antichissimi e misteriosi erano la sua passione. I pochi libri che era riuscito a procurarsi, troppo costosi per le sue tasche, erano stati letti e riletti... Sognava ad occhi aperti gli allineamenti di Carnac e gli anelli di Stonehenge, i ventagli di Caithnes e il “grand menhir brisé” di Locmariaquer...
Per molto tempo non aveva potuto parlarne con nessuno. Non che l'argomento fosse proibito ma... ricordava una religiosità troppo diversa da quella cristiana, dogmatica e graniticamente avversa al culto della Natura vista come madre generatrice di vita. E l'uomo, suo figlio, l'aveva oltraggiata, sfruttata, violata. E continuava a farlo.
Poi aveva trovato Ferruccio. All'inizio era chiuso, diffidente. Sembrava quasi che considerasse Sean un demone tentatore, povero ragazzo. Ma era comprensibile: rimasto orfano all'età di due anni, era stato allevato da una zia di Cocconato, molto pia e... molto zitella. A tredici anni era entrato nel seminario di Chieri e non ne era più uscito. Anche la zia nel frattempo era morta, ma la piccola eredità gli avrebbe permesso di finire comodamente gli studi. Sempre che ne avesse l'intenzione. Ma ormai erano in molti ad avere dei dubbi. L'amicizia con Sean, il meraviglioso mistero dei monumenti megalitici, la tragedia dei popoli che non avevano voluto accettare l'imperio romano e per questo avevano dovuto soccombere, sparire, portare per sempre con sè il segreto dei culti del sole e della luna. E portando con sè anche il magico significato dei riti propiziatori del solstizio d'estate in onore della Grande Madre Terra...
Tutto questo aveva sollevato il velo grigio dell'ovvietà, delle opinioni scontate. Gli avevano insegnato che la civiltà era arrivata con l'espansione dell'impero romano. Che tutti i popoli assoggettati, dal nord Italia fino alle Orcadi, erano barbari poco meno che trogloditi. Che i loro culti erano demoniaci, lascivi, sanguinari. E così il cristianesimo aveva provveduto ad erigere i propri templi sui cerchi di pietre e sui tumuli sepolcrali; aveva abbattuto menhir e steli funerarie; aveva proibito i fuochi della vita e della fertilità nei boschi sacri. Aveva sostituito, alla millenaria saggezza druidica, un nuovo credo nato in Palestina. Un unico Dio, di saggezza e amore infiniti. Ma in nome di questo dio si erano compiuti massacri e vessazioni. E la natura non fu più madre e sorella dell'uomo: divenne la schiava che tutto doveva concedere senza ribellarsi mai...
La crisi di Ferruccio si aggravava giorno per giorno. E la realtà si confondeva con i sogni. Se di sogni si trattava: a volte aveva la sensazione di guardare il proprio corpo addormentato e viaggiare con lo spirito, senza limiti di tempo e di spazio. Aveva sorvolato gli allineamenti megalitici bretoni e i grandi anelli della Britannia maggiore. Aveva visto Avaion con il Thor, il cerchio sacro di pietre sulla cima della collina, dove Artù aveva sconfitto il Grande Cervo e ne aveva assimilato lo spirito; e il tempio in cui gli fu donata Excalibur, la spada invincibile che solo il re di tutti i britanni avrebbe potuto toccare. E i Salassi del Canavese e della Valle d'Aosta, che lottavano strenuamente contro un invasore che esigeva il loro oro e le loro terre.
E aveva incontrato il druido Cathbad, principe possente dall'alto diadema, colui che più di duemila anni fa era stato il suo maestro. Il grande sapiente aveva ritrovato il suo allievo prediletto, quello che avrebbe dovuto prendere il suo posto dopo di lui. Ma le cose erano andate diversamente...

CAPITOLO SECONDO

Ferruccio bussò timidamente alla porta del Direttore Spirituale. Questa convocazione repentina, avvenuta dopo gli allarmi del mattino, lo avevano messo in grande agitazione. Avrebbe potuto confidarsi, esprimere fino in fondo le sue paure e i suoi dubbi? Oppure era meglio fingere, accusando un cattivo stato di salute? Di sicuro non avrebbe parlato per primo: avrebbe ascoltato in silenzio e poi... avrebbe seguito il suo istinto. Nel bene e nel male.
Alle otto del mattino dopo, usciva dal seminario con una valigia imprestata, quasi interamente occupata dai libri. Gli avevano consigliato un periodo di riposo, di ripensamento... Il sacerdozio era una cosa seria...
Immensamente seria, pensava Ferruccio, se i voti che aveva pronunciato duemila e duecento anni prima erano ancora così vincolanti. Aveva deciso di tornare nel paese della sua infanzia. Sarebbe ripartito da zero. Al termine dell'anno scolastico, Sean l'avrebbe raggiunto e avrebbero studiato insieme un piano per il futuro. Per il momento cercava solo pace. Pace e silenzio.
Poche cose ricordava di Cocconato. La chiesa barocca, dove la zia lo trascinava a messa tutte le mattine; la piccola casa in cui era cresciuto, ora un po' umida e ammuffita dopo tutti gli anni di abbandono; il grande mulino a vento sulla sommità della collina di tufo, la più alta di tutto il circondario... ma il poetico panorama astigiano con i suoi dolci declivi, le macchie di alberi tra vigne, campi e prati, i piccoli paesi arroccati sulle colline circostanti a corona dei grandi castelli... furono una sorpresa, una rivelazione.
Com'era piacevole essere svegliato dal canto del gallo anziché dall'odiosa campanella del seminario! Fortunatamente i figli del vicino, due ragazzoni che sapevano fare di tutto, lo aiutarono a restaurare la casa. Al giardino, però, volle provvedere da solo: aveva un talento naturale per la botanica. Ma volle sistemarvi anche alcune strane pietre che aveva trovato durante le sue passeggiate. E quando fu finito, si rese conto che, inconsciamente, le aveva disposte ad anello, o allineate, o a ventaglio...
Dopo circa due mesi, arrivò la camera che aveva trovato da un antiquario: in noce scuro, massiccia, semplice, molto antica. Sarebbe stata camera da letto, studio e biblioteca. Era molto felice. Però i “sogni” erano completamente cessati. Era stato un brutto scherzo della psiche? Un segnale d'allarme del suo spirito troppo oppresso? O forse un inizio di follia? No! No!
Aveva obbedito al richiamo, aveva seguito l'istinto. Avrebbe saputo.
Era una splendida serata, leggermente ventilata. Il sole, appena tramontato, aveva tinto di rosa il cielo a ovest, mentre il paesaggio sottostante sembrava cambiare prospettiva per via del chiaro-scuri sempre meno definiti. Gli animali domestici erano già stati sistemati per la notte e il silenzio era rotto solo dal canto dei grilli. Che sublime momento per una passeggiata tra le vecchie stradine che di lì a poco la luna avrebbe illuminato, guidando il passo dei viandanti e le bocche degli innamorati...
E per la prima volta nella sua vita, Ferruccio si sentì pervadere da uno struggimento sconosciuto: la consapevolezza di essere solo, il desiderio della presenza femminile accanto a sè, il bisogno di dare e ricevere amore.
Aveva perso l'orientamento. Seguendo il filo dei suoi pensieri, si era addentrato in una strada senza uscita e che terminava in un cortiletto. Per fortuna la casa, completamente buia, sembrava disabitata. Fece per tornare sui suoi passi, ma... «Buonasera».
«Bu... buonasera». Ferruccio fu colto talmente di sorpresa che non poté fare a meno di balbettare.
«Se l'ho spaventata, mi dispiace» continuò la voce.
«Ma chi è? Non riesco a vedere nessuno».
«Guardi in basso».
E la vide. Seduta su un tronco posato contro un muricciolo, una vecchina piccola, magra, vestita di nero, stava filando alla luce della luna.
«Mi scusi tanto del disturbo, signora».
«Perché disturbo? La stavo aspettando».
Ohi ohi, pensò Ferruccio un po' preoccupato: dev'essere quella che chiamano Bettina la matta. Farò finta di niente.
«Sono contento di aver fatto la sua conoscenza. Ma adesso devo proprio andare».
«Vuol essere così gentile da accompagnarmi in casa? Sa, alla mia età...».
Ferruccio, molto premurosamente anche se con un leggero senso di disagio, aiutò la vecchia ad alzarsi e le porse il bastone. Si avviarono lentamente. La casa, poco più di una catapecchia, era addossata alla collina, proprio al di sotto del mulino a vento. Non erano ancora entrati, che una fioca luce si accese all'interno illuminando un grande camerone, probabilmente l'unica parte abitabile.
Dopo un gesto secco della vecchia, una ragazza emerse dalla penombra, portando una bottiglia e due bicchieri. Teneva gli occhi bassi e tremava visibilmente.
«&EGRAVE mia nipote Muriella. - La voce della vecchia nascondeva qualcosa... - Bimba mia, non essere così paurosa, questo bel ragazzo non ti vuole mica mangiare».
Ferruccio, imbarazzatissimo, le porse la mano per presentarsi.
«Piacere. Mi chiamo...».
«Lasci stare. Capisce solo me. È sorda e muta. Non è adatta nemmeno a fare la serva!».
Com'era cambiata la voce della vecchia. Tutto il fascino da dolce nonnina era svanito. Avrebbero dovuto chiamarla Bettina la strega. Ferruccio decise di andarsene immediatamente: l'atmosfera di quella casa era insopportabile, ma la ragazza gli faceva molta pena. Avrebbe dovuto trovare una soluzione per aiutarla.
«Quanti anni ha?».
«Fra tre giorni ne avrà ventuno. Ho tentato di maritarla, ma nessuno la vuole. Eppure è una bella ragazza. Certo, non è proprio vestita come una signora, ma si può rimediare. E per il resto...».
Con un gesto secco, la vecchia la mandò via. «Perché non la sposa lei?».
«Ma io sono un seminarista. Forse mi farò prete. Mi dispiace, ma per il momento non ci penso assolutamente». Non sapeva se ridere o sdegnarsi. «Farsi prete? Ma che idiozia! Un bel ragazzo come lei, poi... E io potrei farle una dote ricca, molto ricca...».
«Beh, ci penserò...». Si sentiva strano. Era colpa del vino, certo. Forse.
«Devo saperlo subito. Venga domani sera a darmi la risposta».

CAPITOLO TERZO

Sì, doveva essere colpa del vino. La vista a tratti si appannava e gli pareva di camminare nella nebbia. In alcuni punti udì delle risatine sommesse. Una volta ebbe la sensazione di essere seguito, si girò di scatto e fu quasi certo di vedere due piccole figure, due gnomi, che si nascosero immediatamente dietro un cespuglio. Ma dov'erano le case? Possibile che si fosse di nuovo perduto? E questa strana nebbia... Ma in quel momento la luna, che era stata oscurata da una nuvola, grazie al forte vento che aveva iniziato a soffiare, tornò ad illuminare il paese, le case, il campanile. E le pale del mulino presero a girare, a girare...
Quando finalmente si ritrovò in camera era esausto, ma non voleva ancora andare a dormire. Era una strana notte. Notte da poeti. Notte di magia.
Si sedette sulla poltrona di fronte all'armadio. Pensava a tutto e a niente. Gli pareva di essere uscito dal seminario da secoli, di essere maturato, cambiato. La vecchia aveva detto che era un bel ragazzo... Pensandoci bene, non si era mai guardato allo specchio che con occhio distratto, fuggevole. Gli avevano insegnato che la vanità era peccato. Certo, era perfettamente d'accordo, ma aveva o no il diritto di esaminarsi con occhio critico? Decise per il sì, e andò a piazzarsi davanti allo specchio.
Ma l'immagine che vide riflessa non era stata e mai avrebbe potuto essere quella di un seminarista. La bella fanciulla bionda, che lo guardava sorridendo, era colei che, dal più profondo del suo cuore aveva sempre desiderato incontrare. Lui non sapeva niente di modelle, di attrici o di reginette di bellezza. Lui non sapeva chi fosse. Ma sapeva che era “lei”.

* * *

«Signore, la tua figlia adottiva è tornata».
Il Grande Druito era assorto in preghiera. Alle parole dell'ancella, rialzò il capo, cercando di scoprire, dall'espressione di Margherita, se c'erano speranze. Mancavano solo tre giorni... tre giorni, e l'incantesimo non avrebbe più potuto essere dissolto.
«Ti vedo raggiante, figlia mia. Versa nel mio cuore angosciato un po' della gioia che trabocca dal tuo. Ma perché hai tardato tanto?».
«L'acqua della polla non era limpida, padre. Così non ho potuto guardarvi sino a che non si è levato il vento. Ma all'inizio mi ha mostrato una camera buia, e quando è arrivato non mi sono mostrata subito, volevo capire se sarebbe stato l'uomo giusto. Non possiamo rischiare uno sbaglio, lo sai».
«Per questo ho chiamato Kevin. L'ho chiamato tramite i suoi sogni, e lui ha ricordato. Ed è uscito dal seminario. Ancora una volta ha obbedito al suo maestro Cathbad, anche nella sua nuova vita con le sue strane regole».
«Abbi fiducia, padre, riuscirà a riportarti Muriella».
«Non devi temere. Tu mi sei cara come la mia vera figlia, anche se la strega Feascor ti scambiò nella culla con lei, nata dalle Nozze Sacre. E l'ha resa sorda e muta perché non potesse sfuggirle. Ma quando tornerà...».
Il dolce suono dell'arpa, suonata con meravigliosa maestria dal bardo Donegal, riuscì, come sempre, a dargli un po' di conforto.
«Se tu vorrai, Margherita... dimmi, ti piace Kevin?».
Cathbad non poté fare a meno di sorridere vedendo avvampare le gote della ragazza. Che strano destino era il suo, povera piccola. Ma non era forse meglio, se fosse tornata al mondo a cui apparteneva?

* * *

Il vento, che aveva cominciato a soffiare la sera prima, era aumentato d'intensità. Ferruccio scrutava ansiosamente ogni variazione di potenza delle raffiche. Se fosse caduto, tutto sarebbe stato inutile. E pensare che fino a qualche ora prima non lo avrebbe creduto possibile, ma l'apparizione di Margherita lo confermava: il vento faceva girare le pale del mulino, che a loro volta aprivano il passaggio tra il mondo reale... e l'altro. L'altro, il regno fatato, dove una folla era riunita in preghiera intorno al Grande Druido affinché gli fosse restituita la figlia. E la dea, la Grande Madre, aveva aperto le sue braccia...
Ma qualcuno stava in guardia. La strega Feascor conosceva il soffio della dea, sapeva che il regno fatato era in attesa. Ma doveva rischiare. Se Ferruccio avesse acconsentito allo sposalizio, Muriella sarebbe diventata una comune mortale e lei avrebbe avuto il suo premio... ma il ragazzo si faceva aspettare.
Era già notte quando Ferruccio si presentò. Al vederlo, la vecchia non poté trattenere un ghigno di soddisfazione: tirato a lucido, con la faccia giuliva e gli occhi scintillanti, non poteva che aver preso una sola decisione.
Subito andò a cercare Muriella, che per la prima volta nella sua vita era vestita come si conveniva: irriconoscibile, altera, splendida nel lucente abito azzurro. Ferruccio, cui recitare la commedia dello sposo felice costava non poco, non poté fare a meno di inchinarsi di fronte alla fanciulla. Feascor era gongolante, sentiva già il profumo dell'oro del suo padrone...
Grosse gocce di pioggia cominciarono a cadere, ma la porta continuava a rimanere aperta per gli invitati che arrivavano. Saranno state le candele, ma il loro aspetto era decisamente inquietante. A Ferruccio parve addirittura di sentire dei grugniti...
Il tavolo era stato ricoperto con una strana tovaglia blu notte, con ai lati due grandi candelieri. Sopra, era posato un ostensorio nero, vicino al quale un enorme libro, rilegato in pelle chiara, era aperto su una pagina ricoperta di caratteri misteriosi e illeggibili.
Ma colui che si avvicinò al tavolo e iniziò il rito, leggeva invece senza difficoltà, sebbene fosse disturbato dal temporale che era scoppiato con inaudita violenza. Ferruccio aveva paura, sapeva che stava assistendo, anzi partecipando, al rito più abominevole e sacrilego: la messa nera. E capiva anche che entro pochi istanti sarebbe stato completamente soggiogato....
E in quel momento, una raffica di vento più furiosa delle altre spalancò completamente la porta e la pioggia violenta riuscì a spegnere le candele. L'ostensorio venne rovesciato a terra e le pagine del libro, strappate dal vento, volteggiavano per la camera. Era diventato buio pesto.
Quando gli astanti si ripresero dalla sorpresa, Ferruccio e Muriella erano spariti. Feascor, furibonda, fece per lanciarsi alla ricerca, ma la grandine aveva creato un muro bianco, assolutamente invalicabile. Tentarono varie volte di accendere le candele, ma ormai erano irrimediabilmente bagnate e inservibili. E un rumore nuovo, sopra le loro teste, li avvertì che colui che avevano servito aveva ormai perso, e li aveva abbandonati. La collina stava franando.

EPILOGO

Ferruccio e Sean erano seduti nel giardino a godersi la bellezza di un tramonto di fine estate. Non si erano nemmeno resi conto che non parlavano da almeno un quarto d'ora. Ma ne erano state dette tante, di parole, in quegli ultimi giorni. E nessun ragionamento razionale e logico era bastato a spiegare la straordinaria esperienza di Ferruccio. Andava semplicemente accettata. Con amore e umiltà.
D'altronde, era spiegabile che sotto le macerie della casa della vecchia, la catapecchia seppellita dal tufo e schiacciata dalle pale del mulino, non si fosse trovato nessuno? E la caverna nella collina, con il passaggio che Ferruccio e Muriella avevano varcato per entrare nel regno fatato, era scomparsa.
Ma Margherita era reale, viveva con lui, l'aveva sposata.
E la corona di vischio dorato, donata da Cathbad, era la cosa più preziosa che avevano. E che avrebbero mai avuto. L'avrebbero trasmessa ai figli, e ai figli dei figli...

Copyright © 1995

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