Racconto di Laura De Pasquale
LAURA DE PASQUALE

Buio

Il sole di agosto ha infuocato l'asfalto cittadino. Il via vai di gente nell'ora di punta lungo la strada principale del centro di Salonicco, si agita insofferente come anguille vive gettate nell'olio bollente. Negli autobus stipati di gente la mescolanza del sudore e del fiato caldo genera un moto di ribrezzo generale. Meglio scendere, camminare all'aperto. Così Enrica decide di percorrere la strada di ritorno verso casa a piedi.
È in Grecia per motivi di lavoro-studio, ospite di conoscenti. Cerca di unire l'utile al dilettevole. Questa mattina non è andata in biblioteca, si è lasciata tentare dalle mercanzie esposte nei negozi della via vecchia. Con le braccia ingombre di buste fino ai gomiti, arranca come può facendosi largo tra la folla. Sospinta un po' qua un po' là si lascia infine trascinare fino al semaforo in fondo al marciapiede da quel fiume umano. Mentre attende che scatti il verde per i pedoni, ragiona a proposito del caldo.
Maledice l'insana idea che ha avuto al mattino di indossare il miniabito nero che ora sente arroventato sui fianchi e sul diaframma ad ogni movimento respiratorio. Si chiede perché non ha legato i capelli nel sentirli appiccicati sulle spalle per il sudore. Non riesce nemmeno a capire il motivo che l'ha spinta a calzare subito i sandali dorati dal tacco alto appena acquistati.
Con i tacchi a spillo sprofondati nell'asfalto per quasi un centimetro, è cosciente che la sua autonomia idrica stia per esaurirsi. Sa che di lì a poco smetterà di sudare. Il suo organismo andrà in riserva. La sua bocca si asciugherà e ciò che farà, sarà concentrare i suoi sforzi per conquistare un qualsiasi liquido che allevii la sua sete e le garantisca la sopravvivenza fino a casa. La durata del semaforo rosso le pare interminabile. Uno strano torpore si impadronisce delle sue facoltà. Teme di essere vittima di un malore, ma sa che non è così.
Già altre volte si è sentita male per il caldo, ed i sintomi erano ben diversi. Quello che in questo momento avverte è una specie di rallentamento generale della realtà, come se lei e tutto ciò che le è intorno si muovessero alla velocità di una moviola. Il sudore che le cola dalla fronte e le raggiunge gli occhi, le offusca la vista. Sente il suo respiro pesante. Quando sbatte le palpebre, la visuale le si oscura per qualche istante come un fotogramma nero nella pellicola di un film.
Finalmente il semaforo dà il via libera ai pedoni. Poco prima che quel fiume di gente si riversasse sulle strisce pedonali, le sembra di vedere due figure al centro della strada. Un uomo ed una donna vestiti con due lunghe tonache bianche con le braccia alzate verso il cielo. Poi - BUIO - Quando ritorna la luce ai suoi occhi le due persone in tonaca sono scomparse.
La sua attenzione è ora catturata da un bagliore di luce fra le tante teste che formano una muraglia umana dall'altra parte del marciapiede. Guarda più attentamente nonostante il bruciore agli occhi. Le viene in mente una leggenda della quale è venuta a conoscenza in biblioteca a proposito della divinità dell'antica Grecia. Si narra che quando il Fato, la storia e il decorso del tempo decretarono la fine degli dei, questi si rifiutarono di cessare di vivere. Pare che pur di continuare ad esistere furono disposti ad accettare qualsiasi compromesso. Così si spogliarono dell'aureola sacra, scesero dall'Olimpo per disperdersi per il mondo. Avrebbero vagato come spiriti ciechi alla ricerca dell'uno o dell'altra per rivivere. E come parti di un unico corpo, avrebbero vissuto insieme per un minuto attraverso gli umani condizionandogli l'esistenza nel bene e nel male o per una vita intera sotto forma di quella specie di magia comunemente accettata che prende il nome di «coincidenza».
Un brillare di luce era il segnale di riconoscimento.
In fondo anche la sua vita è stata il frutto di fortunate coincidenze.
«BUIO» e quel brillare scompare. Peccato - pensa divertita, dimenticando la sete, - ovviamente non è per quel segnale. Uno spintone la fa quasi cadere. Si ritrova in mezzo alla strada. Le persone che le sono intorno procedono come se camminassero su delle molle. Ad ogni passo sente i capelli alzarsi e rimanere sospesi in aria per qualche istante prima di ricaderle sulle spalle. I rumori del traffico sono lontani ed ovattati, sembra tutto far parte di un mondo sommerso.
Un giovane uomo che procede nella direzione opposta alla sua distrattamente la urta.
«Sorry» dice lei senza fermarsi.
«Sorry» dice lui senza fermarsi.
Poi, nel ritornare a guardare ognuno la propria strada dopo aver voltato il capo quel tanto necessario per formulare quelle scuse superficiali, l'attenzione di lei è catturata da un lieve brillare sulla fronte dell'uomo. Si volta istintivamente verso di lui. Anche lui è tornato a guardarla. Si guardano ognuno negli occhi dell'altro e si riconoscono. Quanti anni sono passati? Era l'82, l'anno dei mondiali di calcio vinti dall'Italia. Lei era in vacanza insieme ad altri amici ad Olimpiada, un piccolo e caratteristico villaggio greco di pescatori vicino al confine turco. Durante lo svolgimento dei mondiali di calcio, la comunità si era stretta intorno alla comitiva di italiani per fare il tifo. L'8 luglio, sera della finale tra l'Italia e la Germania, Ludwig e i suoi amici a causa di una gomma bucata, decisero di trascorrere la notte lì. Meglio vedere la partita su di un maxi schermo, anziché ascoltarne il commento radiofonico in greco.
Tra i due fu il classico colpo di fulmine. Quella sera cupido fece bene il suo lavoro. Che mescolanza di esemplari umani scelse... lui magnifico maschio germanico, lei splendida femmina latina. Divina coincidenza, NO?!
Il giorno seguente gli amici di Ludwig proseguirono per il tour, lui decise di aspettare il loro ritorno ad Olimpiada. Quella sera stessa dormirono in un unico sacco a pelo. Che pazzia fu la loro. Innamorarsi sapendo che avrebbero potuto dividere insieme ben poche cose. Pochi giorni felici, il cielo stellato, lo sciabordio delle onde che li cullava dopo aver fatto l'amore in riva al mare, salse piccanti allo yogurt insieme ad altre leccornie greche, e poche parole dette in uno stentato inglese. Sperarono entrambi fino all'ultimo giorno, ognuno in cuor suo, che la loro fosse solo un'avventura estiva. Ma l'ultima notte trascorsa insieme sciolse ogni dubbio. Dormirono pochissimo. Avvinghiati l'uno all'altra, uniti in una stretta disperata fecero un amore doloroso, fatto di lacrime. Si fecero male, come a volersi punire di essere innamorati. Per aver commesso quella pazzia. Si divisero il 20 luglio. Lui tornò in Germania, lei proseguì il tour che durò ancora qualche giorno prima del rientro in Italia.
Si fermano. Non hanno altro tempo. La folla li sospinge verso marciapiedi opposti. Enrica, raggiunto in qualche modo il versante opposto, riesce a nuotare contro corrente tra la gente. Sul bordo del marciapiede cerca di guardare dall'altra parte. Prova ad attraversare, ma le macchine anche se al rallentatore non le danno nessuna possibilità. Poi le sembra di vedere il brillare della sua testa bionda ergersi sopra le altre teste, come per cercare qualcosa. Ad un tratto però, qualcosa la trattiene dal farsi notare, dal chiamarlo. Mentre osserva l'altra sponda fa in modo di restare coperta da qualche spalla più imponente di lei.
Vede ancora per qualche istante quel capo divino, poi quel brillare a poco a poco si spegne inghiottito da altri esseri umani. Forse lo stesso pensiero, lo stesso timore ha invaso anche lui. In fondo perché avrebbero dovuto ritrovarsi? Per constatare che non sono più quei freschi adolescenti di un tempo? Scambiarsi domande scontate del tipo «come stai, cosa hai fatto durante questi anni ecc., per dimenticarne subito la risposta. Perché un'altra è la domanda che l'uno avrebbe voluto formulare all'altra: «Perché non mi hai più scritto?».
Meglio rimanere così. Meglio rimanere con il ricordo incontaminato di quel breve amore giovanile, nato ed esaurito in una vacanza. Il vero amore non conosce limiti di nessun genere. Quindi perché incontrarsi? Per dirsi cosa? Che non si amavano abbastanza e con quale coraggio dopo tanti anni? Ad entrambi era piaciuto credere di aver vissuto un amore impossibile. Un amore, privo di responsabilità, doveri, rinuncie.
Per poi infine accomiatarsi con un vago «ci vediamo», dopo aver scoperto di essere due perfetti estranei. Meglio continuare a credere in quell'illusione. Di quella mattina, di quei minuti sarebbe rimasto un ricordo vago... il caldo, la sete, la folla, un leggero malessere.

Copyright © 1995

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