Racconto di Maria Cristina Buoso
MARIA CRISTINA BUOSO
Petali

Derva curiosava tra i libri della bancarella del mercato, sfiorava le copertine con un tocco leggero quasi avesse paura che queste si sbriciolassero sotto le sue dita impazienti. Odorava i fogli scritti come se fossero piatti prelibati, avvicinava le pagine al viso quasi a sentirne la vita uscire, poi con incertezza continuava la sua ricerca tra i tanti libri posti in vendita; tra sconti, supersconti, inviti all'acquisto che spesso lasciavano indifferenti i vari acquirenti, che li guardavano con la stessa curiosità con cui si guarda un etto di mortadella.
Derva amava leggere e per questo aveva la sua stanza stracolma di libri e di giornali od altro, che si potesse leggere. Adorava i fogli di carta, sia che fossero bianchi e ancora privi di violenza, o che fossero scritti e per questo già con una vita propria; ne sentiva una vera attrazione. E, quando aveva tempo, si perdeva tra i libri sia che questi si trovassero in una biblioteca, libreria o bancarella; lei cercava il suo libro.
Ormai aveva più libri di quello che avrebbe potuto leggere, ma non riusciva a smettere nell'acquistarli, era più forte di lei. L'attrazione che provava era sempre forte, la curiosità era sempre in agguato e lei comprava e leggeva, leggeva e comprava. Questo era il suo modo di entrare nei mondi che i libri le schiudevano con la loro generosità.
Ad un tratto, Derva avvertì sotto la sua mano sinistra, una piccola e impercettibile scossa. La ritrasse sorpresa e trovò un libro vecchio e mal tenuto con la copertina di un verde scuro consunta. Le pagine erano state tagliate rozzamente con un tagliacarte, violandone l'intimità per scoprirne i misteri racchiusi.
Lo aprì e guardò incuriosita l'anno in cui era stato stampato: era il 1927.
L'autore era un certo Ilir Riil, per lei uno sconosciuto.
Cominciò a leggerne qualche pagina... ma si scosse: alle sue spalle la voce di una persona la stava chiamando. Era il proprietario della bancarella che le indicava il grande orologio sulla parete alle sue spalle; Derva lo guardò, e stupita si accorse che stava leggendo quel libro da circa un'ora. Non capì come ciò fosse stato possibile, per lei erano trascorsi solo pochi minuti, forse cinque... Guardò il libro sorpresa e lo comprò.

Fuori la notte profumava dei primi caldi estivi, l'oscurità veniva interrotta ogni tanto da un aereo che nel cielo cercava la luna, la stanza era illuminata dalla lampada accesa del comodino e Derva toccava e rigirava tra le mani il libro acquistato nella mattinata. Accese la radio su di una frequenza di musica soft, aggiustò il cuscino e una volta che sistematasi per bene cominciò a leggere quel libro il cui titolo era assai strano: «ILATEP».
Iniziava con una filastrocca che le ricordava lontanamente una canzoncina che da piccola le cantava sua nonna... Derva cercò di ricordarne le parole, ma la memoria si rifiutava di aiutarla. Sconsolata rinunciò, e riprese la lettura. Era la storia d'amore tra un uomo che viveva solitario in una casa che si affacciava sul mare, e una ragazza che spesso camminava sulla spiaggia. Parlava di loro e del loro incontro, di come avessero paura d'ammettere i loro sentimenti e di tante altre cose.
Derva, mentre leggeva, faceva i suoi commenti cercando di trasferire su quelle pagine i suoi pensieri con la speranza di influenzare i due protagonisti nelle loro scelte.

Ma successe qualcosa di inatteso.
Derva si accorse che, man mano che si inoltrava nella lettura, di sentirsi attratta da quell'uomo che inseguiva una donna che inseguiva l'amore. Leggeva le pagine sempre più in fretta, le scorreva velocemente alla ricerca di lui.
L'azione si spostò in città. I due protagonisti vi si erano trasferiti, dopo aver deciso di vivere insieme nella speranza di conoscersi meglio. Questa decisione fece stare male Derva, che li voleva divisi.

In lontananza si udì una frenata. Questo rumore inatteso la scosse dalla lettura nella quale si era immedesimata. Si ritrovò seduta sul letto a fissare il libro come se fosse stato una finestra a cui affacciarsi per guardare fuori. Si passò la mano tra i capelli arruffati e si rilassò con un lungo respiro lasciandosi andare sul letto.
Un ragno stava tessendo la sua minuscola ragnatela in un angolo della stanza.
Chiuse il libro, spense la luce, e socchiuse gli occhi. Si rigirò stanca, ma dentro di lei una forza indomabile la spingeva a riprendere la lettura, a riaprire il libro, a ricercare quell'ultima parola.

La stanza era silenziosa. La notte smise anche di bisbigliare, e Derva cercò il sonno. Nella mente sentì due occhi fissarla, ma con decisione li scacciò verso il buio. Si rigirò tra le lenzuola in cerca di refrigerio trovando solo il caldo del suo corpo. Spalancò gli occhi.
Stanca. Si sentiva stanca.
Sapeva che era inutile aspettare il sonno, perché non sarebbe arrivato... Doveva terminare quel libro. Accese la luce. Si alzò. Camminò a piedi scalzi per la casa silente. In bagno l'acqua dello scarico scendeva giù per la tazza, e Derva fissava l'acqua impazzita assomigliare ad una cascata... SSShhh... SSShhh... SSShhh....
Ritornò a letto. Guardò il libro. Risistemò il cuscino e riprese la lettura.

Il racconto catturò subito la sua mente, la rendeva prigioniera; una forza inusuale la calamitava su quelle pagine, non riusciva a resistere.
Era la sua presenza.
Lui, lo scrittore, l'uomo che narrava sulla sua pelle. Il suo alito la sfiorava... BBBbbb... BBBbbb... BBBbbb...
Rabbrividì.
Mani la toccavano con sapiente saggezza e LEI-LETTRICE si sentiva sempre più venire.
Voleva resistergli, ma la sua volontà cedeva pagina dopo pagina.
I respiri erano affannosi.
Le mani cercavano mani.
La pelle scottava.
Il corpo fremeva.
Si fondevano.
L'onda li sommerse.
Salirono in alto fino a toccare il soffitto di rami intrecciati a piume, a neve, a biglie colorate che li trattenne il tempo necessario ad un respiro, e subito ritornarono verso quel letto sfatto, verso quelle pagine sgualcite, verso quel cuscino di emozioni, assaporate... MMMmmm... MMMmmm... MMMmmm...

Le parole veloci si allontanarono. Le dita cercavano di trattenerle, ma “lei” non vi riusciva. Lacrime scendevano disperate percorrendo il corpo che sapeva ancora di “lui”, perdendosi tra pieghe di virgole dimenticate e punti che si rincorrevano.
Le mani si allontanavano. I corpi si separavano. Pian piano i respiri si spensero. La luce entrava nella stanza e illuminava il corpo abbandonato di Derva sul libro aperto sull'ultima pagina.
Il cuscino sul comodino, le lenzuola per terra attorcigliate alla lampada accesa, il ragno intento a custodire la sua prima preda e lei, Derva, sorrideva soddisfatta: il sonno le regalava lo scrigno del sogno in cui era rinchiuso un uomo, una donna, un libro, onde, e... una parola.

Copyright © 1996

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