Premio Editoriale Penna d'Autore - Narrativa
P66SHC


di Renato Cavagnero

Oggi è il 30 marzo del 2050, compio cent'anni. Seduto su una COMODEX, poltrona ergonomica dell'ultima generazione, sto guardando le immagini che scorrono sulla parete che ho di fronte: è un film degli anni 2000. Forse quelle figure così antiche, forse la melanconia che permea il mio spirito o forse solo la ricorrenza, mi fanno estraniare da questo luogo e la mente inizia a vagare nei ricordi.
Con fatica riporto alla memoria la mia infanzia in campagna tra le mucche e gli altri animali domestici, la mia giovinezza trascorsa a Torino, gli studi, i moti giovanili e sociali del 1968: ricordi offuscati dal tempo. Ogni tanto qualcuno mi parla del '68 con aria ammiccante, ma io, di quegli anni ricordo solo gli scioperi che mi permettevano di «saltare» un giorno di scuola ed un eschimo bianco che era la divisa dei giovani di quell'epoca; non ricordo altro o forse non ho mai saputo altro.
Mi torna alla mente il mio matrimonio con Franca, celebrato in un paesino del Monferrato: quel giorno pioveva. «Matrimonio bagnato, matrimonio fortunato» mi dissero in molti; avevano ragione: sono settantotto anni che siamo sposati. Ricordo la nascita di mio figlio Daniele, nel 1976 (oggi ha settantaquattro anni), l'arrivo di Cristina, che è più giovane, ha appena sessantasei anni.
Mille ricordi affollano il mio cervello: il primo lavoro da dipendente in una industria che produceva vernici, il successivo passaggio a commerciante di piastrelle, idee confuse, immagini di allora.
Mi ritorna in mente – questa frase mi ricorda qualcosa, ma non so cosa – il 17 novembre 1999. Quel giorno venne diffusa la notizia che il professor Pellicci, sconosciuto scienziato, aveva isolato un gene che, sperimentato su alcuni topolini aveva prolungato la loro vita del 35%.
Su grandi lastre di marmoresina, poste ai piedi dei monumenti che sono stati eretti in suo onore, nelle maggiori capitali del mondo, è riportata la frase: «Voglio sperare che questa scoperta possa essere utilizzata al più presto dal genere umano, perché così potrò usufruirne anch'io». Parole programmatiche che sono riportate su tutti i CD di scuola.
La scoperta, in breve tempo, passò dalla fase sperimentale – verificato che non possedeva effetti collaterali – alla fase di applicazione. Tutti gli abitanti delle nazioni progredite furono vaccinati (i popoli del Terzo Mondo furono esonerati dalla vaccinazione, la decisione fu pubblicizzata come un'opera di bontà: prima morivano, prima smettevano di soffrire).
Ricordo che i giornali cartacei – all'epoca del fatto esistevano ancora – e la TV dibatterono a lungo l'argomento. S'erano formate due fazioni, una riteneva contro natura il prolungamento artificiale della vita; un'altra, invece, era favorevole perché riteneva eticamente corretto prolungare l'esistenza per cercare di migliorarne la qualità.
In questi dibattiti furono coinvolte migliaia di persone, ci furono manifestazioni, cortei, ci fu un partito italiano che propose un referendum per far vaccinare solo le persone del nord, ma fu ritenuto anticostituzionale. Di colpo tutto terminò. Ormai la novità non era più tale, non faceva più vendere i giornali, non faceva audience.
I miei famigliari ed io fummo obbligati a vaccinarci, anche se, essendo di matrice cattolica ci sembrava di andare contro l'ordine normale delle cose prolungando la vita in modo artificiale.
Comunque ci vaccinammo per due motivi: il primo, perché impediva la degenerazione delle cellule e quindi il formarsi del «cancro» – a quell'epoca una persona su quattro era ammalata di tumore – il secondo perché prima i teologi e poi il Papa intervennero sull'argomento affermando che dal punto di vista della dottrina non c'era incompatibilità. Infatti Dio aveva dato la ragione all'uomo perché la usasse ed essendo suoi figli avevamo le carte in regola per cercare di migliorare la quantità della vita. Inoltre la longevità avrebbe permesso di realizzare più opere di carità.
Così anche i più bigotti si vaccinarono. Gli unici contrari furono i Testimoni di Geova, perché secondo loro nel vaccino c'erano residui di sangue.
Ricordo, avevo cinquantanove anni, quando mi vaccinai; avevo programmato con Franca di smettere di lavorare a sessant'anni, per avere del tempo libero da dedicare ai miei hobbies: scrivere e restaurare mobili.
Mia moglie, dipendente statale, era andata in pensione a cinquant'anni. Dopo il vaccino, mi sentivo bene e considerato che sarei vissuto fino a cent'anni, decidemmo di prolungare a settant'anni il termine della mia attività.
Intanto Daniele gestiva con la moglie un grazioso ristorante alla periferia di Torino, Franca ed io li andavamo ad aiutare nei giorni festivi; Cristina si era laureata in medicina e aveva in previsione una tranquilla vita da medico della mutua.
Sennonché, negli anni successivi, si scoprì che quel gene in realtà faceva parte di una famiglia di geni che miglioravano notevolmente la qualità della vita: oltre ad impedire l'invecchiamento e la degenerazione delle cellule, riuscivano a riprodurre cellule morte da molto tempo ringiovanendo le persone. Nel 2019 divenne obbligatorio vaccinarsi nuovamente, si parlava, dati alla mano, di un prolungamento della vita del 70%: compivo sessantanove anni. Considerando le cose come stavano, decisi, con i miei familiari, di lavorare fino ad ottant'anni: in fondo l'attività rendeva, si continuava a costruire; le piastrelle ormai non erano più in ceramica, ma in materia plastica geneticamente neutra ed erano autoposanti: avevano all'interno dei microchips, ed era sufficiente posarle a terra. Esse assumevano la posizione per la quale erano state programmate (come i rivestimenti). Dal 2030 sparì una categoria di lavoratori: i piastrellisti. Alcuni si riciclarono diventando, grazie all'esperienza maturata nei cantieri, programmatori di piastrelle.
Il tempo è passato – a volte mi sfuggono queste espressioni obsolete – oggi si dice: «Il tempo è futuro».
Oggi compio cent'anni. Sto guardando vecchie immagini, mentre Franca, in cucina, seduta su un divano catodico ergonomico, sta dando ordini vocali al computer di casa – che chiamiamo affettuosamente Maria – che provvede a preparare il pranzo per la mia festa. Mi godo questi ultimi momenti di tranquillità.
Fra poco arriverà Daniele con la moglie, i tre figli, le rispettive nuore e i suoi sei nipoti – vivono tutti insieme (come una famiglia patriarcale). Arriverà anche Cristina con il marito e i suoi gemelli che non sono ancora sposati e non ne hanno nessuna voglia, anche perché hanno solo quarant'anni: sono giovanissimi e frequentano ancora la Super Università centrale della Metropoli di Torino (nuove leggi avevano prolungato la scuola dell'obbligo fino a trentasei anni). Come sempre si lamenteranno di dover seguire le lezioni nei discount e nei grandi magazzini e mi verranno a salutare calorosamente, sperando di aver come regalo qualche migliaio di Euro: non li deluderò.
Arriveranno tutti insieme, parcheggeranno vicino al balcone del sessantesimo piano le aviomobili, inizieranno a farmi gli auguri e a portarmi i loro regali: la solita cravatta autoannodante con video incorporato, la penna vocale autoscrivente, l'ultimo CD di Gianni Morandi e così via. Daniele mi porterà sicuramente un salame – tipo felino – che è riuscito a procurarsi chissà come e Cristina un paio di mutande autoreggenti.
In ritardo come sempre, arriverà Luisa, mia cognata, con il marito, e mi porterà, probabilmente un CD di poesie di Prevert, oppure un bonsai in plastica.
Ci sarà poi il pranzo a sorpresa, che sorpresa non è, perché sicuramente ci saranno i plasticravioli, il simil lapin e altre ghiottonerie sintetiche del genere. A fine pranzo si stapperà una bottiglia di Gasetil, ultimo tipo di vino transgennico che assomiglia – secondo la pubblicità – allo spumante anni 900. Quando lo deciderò, il computer farà aprire la bottiglia, e darò disposizioni anche per l'intensità del botto.
Poi ci sarà la torta, molto grande, con cento candeline. Sono una diavoleria che Franca ha trovato da un rigattiere in via della Rocca: esternamente sono uguali alle candeline di ottant'anni fa, però schiacciandole si accende sulla punta una fiammella virtuale e quando dirò forte «Spegniti», si spegneranno.
Il pranzo è andato proprio come pensavo. Abbiamo mangiato con gusto e parlato di molte cose: di politica, dello scontro tra la destra berlusconiana e la sinistra dalemiana, che da cinquantasei anni sono al potere. Una volta vince la destra, alle votazioni successive – che avvengono ogni tre mesi – la sinistra (è un'alternanza continua). Abbiamo parlato, di pensioni (l'INPS è in crisi, perché ha un grosso deficit), della Fiat, che ha migliaia di dipendenti in cassa integrazione, dell'ultimo modello di aviomobile, che con un litro di acqua del Po percorre cinquanta chilometri. Dopo pranzo noi vecchi, Franca ed io, naturalmente cadiamo sui ricordi, i nipoti ci guardano rassegnati.
Ad un certo punto mi alzo dal cuscino galleggiante e dico: «Ragazzi, grazie a tutti, ora tutti a casa: voglio andare a dormire, perché sono stanco e domani alle sette devo alzarmi per andare a lavorare».
 

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