Premio Editoriale Penna d'Autore - Narrativa
CLONE


di Marina Galatioto

Sdraiato sul lettino del laboratorio stringeva i denti per non lamentarsi del dolore. Si rifiutava di guardare.
Eppure qualche prelievo, un campione di pelle valevano ben duecentomila dollari; in più erano la soluzione ai suoi problemi.
Immaginò quello che ci avrebbe fatto dopo aver pagato tutti i suoi debiti.
Lui non era un grand'uomo, viveva ai limiti della società, ai limiti della decenza ma adesso aveva l'opportunità di cambiar vita. Non doveva sprecarla.
«Ecco fatto» disse il professore mettendogli un grosso cerotto sulla parte dolorante del braccio.
«Abbiamo finito?» chiese.
«Sì, per ora. Vada a riposare, io farò il resto. Spero che abbia trovato di suo gradimento la stanza».
«Oh sì, grazie» infatti era la stanza più bella in cui avesse mai vissuto.
«Bene, bene – annuì il professore – e adesso vada che ho da fare» lo congedò.
Lui si ritirò in camera.
Il braccio gli bruciava dove il professore gli aveva tolto quel pezzo di pelle; senza anestesia per non compromettere l'esperimento.
Doveva rimanere lì per quattro mesi, il tempo di farlo crescere, di fare i test e i confronti. Poi lui se ne sarebbe andato e l'altro non sapeva che fine avrebbe fatto.
Era solo un esperimento.

Due giorni dopo il professore andò da lui.
«è tutto a posto, l'esperimento è riuscito» disse con soddisfazione.
Lui sospirò, quei soldi diventavano una prospettiva più reale e avrebbe potuto andarsene. Non gli piaceva per niente stare rinchiuso in quelle quattro mura.
«La prossima settimana glielo mostrerò».
Lui non era curioso, per niente, anzi.
Provava una strana sensazione mista alla paura.
La prospettiva di vederlo lo rendeva nervoso, sentiva un peso addosso.
Eppure una settimana più tardi acconsentì di vederlo.
Era in una camera più piccola della sua con le pareti di vetro, che giocava seduto sul pavimento.
Lui rimase scioccato, immobile a guardare quel bambino che non era altri che lui. Qualcosa gli si ruppe dentro.
Il bambino come se sapesse di essere osservato si girò verso di loro e i loro occhi si incontrarono per un breve attimo.
«è identico a lei, come può vedere, siete due gocce d'acqua». Come aveva fatto il professore a farlo crescere così in fretta? Un brivido di freddo gli salì lungo la spina dorsale mentre una sensazione di fastidio lo assaliva.
«Entro tre settimane il processo evolutivo si fermerà ed avrete la stessa età. Gli stiamo dando i suoi stessi stimoli ed esperienze».
«Sa di essere un clone?» non poté fare a meno di chiedere.
«Certo che lo sa! Fa parte della sua natura crescere sapendo di essere solo la fotocopia di un altro! Deve sapere che non è nessuno, che sarà solo un corpo di riserva!» disse il professore scocciato da quella domanda.
Lui si immaginò come poteva essere la vita passata sapendo di essere solo una cavia, nessuno che contasse per qualcuno, un corpo.
Ebbe un altro brivido.
«Lui pensa?».
«Come può farlo? è vuoto! è solo un corpo vuoto! Non si faccia prendere da sentimentalismi stupidi!» lo rimproverò il professore.
Lui volse un ultimo sguardo al bambino poi si ritirò.
Il suo pensiero corse ai duecentomila dollari ma non gli davano più la gioia di prima.

Il professore li fece incontrare tre settimane più tardi.
Lui rimase a fissare il clone come inebetito, aveva un grosso cerotto sul braccio. Probabilmente era per via di un esperimento, si sentì male. Un conato di vomito gli salì alla bocca.
Erano identici.
«Somigliante vero?» chiese il professore.
«S... s... sì» balbettò lui.
«Bene, vi lascio a parlare. Fa parte del confronto. Gli chieda quello che vuole, proveremo se risponde come lo farebbe lei» disse prima di andarsene. Era a disagio ma alla fine si sedette di fronte a lui.
«Ciao» disse.
«Ciao» rispose il clone.
Aveva la sua stessa voce anche se la cantilenava un poco.
«Ti piace qui?» chiese stupidamente.
«Credo sia un bel posto anche se mi fanno male» ammise.
«Sei... umano?».
L'altro sorrise: «Sono come te».
«Sei un clone».
«Ho solo un corpo uguale al tuo ma io sono diverso».
«Sai cosa ti capiterà?» chiese con vergogna.
«Sì che lo so».
Lui sapeva che il professore stava ascoltando ma non poté impedirsi di fargli quella domanda.
«Tu cosa ne pensi?».
Il silenzio si protrasse per parecchio tempo prima che rispondesse.
«Sono un essere umano, tu al mio posto come ti sentiresti sapendo di essere soltanto una cavia, solo pezzi di ricambio? Non sono solo un involucro, dentro siamo diversi. Ma perché devo morire io solo perché il mio corpo è nato dal tuo? Chi ha il diritto di stabilirlo?».
Lui rimase in silenzio, immobile.
Era vero.
Era una barbarie. Quel clone, quell'uomo era parte di lui, era lui, come un gemello. E aveva pensieri, era vivo, soffriva. Era diverso ma pur sempre un uomo.
«Non morirai» bisbigliò piano.
Lui uscì sconvolto, il viso tirato.
«Allora?» gli chiese il professore con sguardo accusatore.
«Ha sentito? Crede di essere un uomo vero! è pazzo, ho dovuto assecondarlo».
Il professore si rilassò sentendo le sue parole.
«Domani faremo i test».
«D'accordo».
Ma la mattina dopo non li trovarono: né il clone né l'uomo. «Maledetto idiota! Era una nullità! Ora sono due perfette identiche nullità – gridò il professore scagliando una provetta di vetro contro il muro – inutili relitti!».

«Vieni, prendiamo quel treno, dobbiamo andarcene di qui e in fretta».
«Dove andiamo?» gli chiese il clone.
«Oh da qualche parte nel mondo dove nessuno sa niente di noi. E mi raccomando tu sei mio fratello, gemello. Ricordalo bene!».
Ed era la verità, per questo non aveva potuto permettere che lo uccidessero, al diavolo il denaro. Lui era un poveraccio ma la sua coscienza non aveva prezzo.
Il clone lo guardò e sorrise.
«Grazie» e quella parola conteneva un mondo.

Copyright © 2000

Per tornare alla pagina precedente


HOME PAGE