Premio Editoriale Penna d'Autore - Narrativa
NITOCRIS


di Giuseppe Spiotta

Avventurarsi da sola in quel maledetto cunicolo era stato un grave errore. A nulla erano valse le lezioni sulla prudenza, ricevute quand'era ancora studentessa, le stesse lezioni e raccomandazioni che lei ora ripeteva instancabile ai giovani che seguivano i suoi corsi d'archeologia. Stava pagando le conseguenze della sua leggerezza. Una leggerezza che avrebbe cambiato il corso della sua vita.
Era arrivata con qualche giorno d'anticipo sul resto del gruppo d'archeologi che avrebbe iniziato ad effettuare uno scavo nei pressi del tempio della regina Hatshepsut, tempio che a tutto il mondo sembra uno splendido colonnato classico.
Era giunta di mattino, su una di quelle pigre imbarcazioni a vela che portano i visitatori sopra un fiume così calmo e modesto, che nessuno sospetterebbe sia qui fluito per innumerevoli secoli dando vita ad una delle più antiche, e sicuramente la più grande, Sede della civiltà.
Osservando il lento fluire di quelle acque tranquille le sembrò che il passato, con la quieta continuità di questo fiume, scorresse nel futuro, sfiorando appena il presente nel suo cammino.
«Solo gli storici fanno distinzione; il tempo no».
Le sembrò, immersa com'era in quelle riflessioni, di avere parlato ad alta voce. Si guardò intorno, ma vide che nessuno faceva caso a lei. Dopo chilometri e chilometri di deserto, attraverso sabbiosi passi di montagna, tra tombe storiche, la comitiva di turisti arrivò là dove il capolavoro della grande regina si leva silenzioso e bianco nel vibrare della calura.
Scese frastornata da quel mezzo di trasporto che, l'impiegata dell'agenzia turistica alla quale si era rivolta per effettuare l'escursione aveva definito «comodo pullman». Si riprese, ritrovando finalmente l'equilibrio, quando i suoi piedi toccarono il suolo.
Dopo essersi tolta la polvere dalla leggera ed elegante tuta che indossava, con delle gran manate, il suo sguardo si posò su quell'incredibile costruzione. Sentì come un profondo senso di gratitudine per quei piccoli uomini che, millenni prima, avevano deciso di trasformare la natura e i suoi colli in una bellezza più grande della natura stessa.
Più che dal colonnato fu attratta da bassorilievi sulle pareti, vivi di movimento e di pensiero, che narrano le vicende della prima grande donna della storia, e non ultima delle regine.
Abbandonando il gruppo di turisti si spostò verso il punto dove era stato deciso di effettuare uno scavo. Osservava la nuda parete di roccia che sembrava nascere dalla sabbia, quando improvvisamente ai suoi piedi arrivarono rotolando dei piccoli massi. Guardò istintivamente verso il punto da dove franavano. Era come se una piccola cascata di pietre e terra sgorgasse dalla roccia.
Quando la polvere, provocata dalla frana cessò, notò che nella parete si era aperto uno squarcio. Si avvicinò. Quello squarcio altro non era che un passaggio, un buio cunicolo che si addentrava nella collina. In quel momento percepì che stava per fare una grande scoperta. Si guardò intorno per cercare aiuto, ma non vide nessuno. Si avvicinò ancora di più sentendosi attratta dal buio di quel cunicolo. Era al colmo della curiosità e dell'eccitazione. Non resistette oltre. «Forse si tratta dell'ingresso di una tomba... inesplorata - azzardò - nascosta per millenni da quella parete che improvvisamente mi è crollata davanti. Dovrei chiedere aiuto prima di entrare e verificare dove conduce questo cunicolo, potrebbe essere pericoloso esplorarlo da sola».
Mentre faceva quelle riflessioni era già entrata nel buio di un angusto corridoio. Cercò la piccola pila portatile, l'aveva insieme alla macchina fotografica ed altri oggetti, nel comodo marsupio che le cingeva la vita, e puntò il fascio di luce verso il fondo del corridoio.
«Sto entrando in una tomba... lo sentivo».
L'altezza del corridoio, di circa due metri, le consentiva di potere procedere in piedi. Stimò la lunghezza in circa venti metri prima di trovarsi di fronte una porta di legno molto scura con intarsi che, alla luce della torcia, splendevano come fossero d'oro.
«Strano, non ci sono i sigilli... eppure dovrebbero...».
Provò a spingere con entrambe le mani, reggendo la piccola pila tra i denti, e la pesante porta si spalancò cigolando su i cardini.
Il fascio di luce, non controllato per il movimento della testa che si rialzò dopo la spinta, saettò nel buio illuminando, per un attimo, un viso. Quell'apparizione la colse di sorpresa e urlò dal terrore con tutto il fiato che aveva in gola.
Si sentì svenire. Per qualche secondo rimase come impietrita. Ansimando ritrovò la calma dandosi della sciocca.
Raccolse la pila, che nello spalancare la borsa nell'urlo era caduta sul pavimento, e diresse sulle pareti il fascio di luce facendolo scorrere lentamente. Dopo un breve percorso sulla parete, la luce tornò ad illuminare ancora quel viso che l'aveva terrorizzata.
Un meraviglioso viso di donna apparve in tutto il suo splendore con il resto della magnifica figura, dipinta con impareggiabile maestria.
«Un'altra paura così e ci rimango secca. Devo cercare di controllarmi. Sono entrata in una tomba, forse inesplorata, si sta realizzando il mio sogno più grande, il sogno d'ogni archeologo – sospirò quasi incredula - Una tomba inesplorata - ripeté - sto per vivere le stesse intense indescrivibili emozioni che deve avere provato Schliemann. Dio mio, è incredibile. Eppure non sto sognando».

Aveva sempre avuto una profonda ammirazione per lo scopritore di Troia e Micene. Ammirava la sua tenacia, la volontà di riuscire che l'aveva portato a studiare ed imparare numerose lingue e dialetti per potere seguire, in prima persona, ogni traccia che potesse portarlo a coronare il suo sogno. Aveva letto tutto ciò che era stato scritto su di lui.
Spostò il fascio di luce sulle pareti e vide delle torce. Ne prese una e l'accese usando l'accendino che aveva, con le altre cose, nel marsupio.
Una luce calda illuminò tutta la sala e le figure, dipinte sulle pareti, sembrarono animarsi per l'effetto della luce che le accarezzava mettendole più o meno in evidenza, secondo l'ondeggiare della fiamma della torcia.
«È di una bellezza struggente...».
Sospirò ammirando la figura ora in piena luce, accese altre torce per averne di più. Una grande emozione le inumidiva gli occhi. Iniziò, guardandosi intorno, a sfiorare, a toccare con delicatezza i vari oggetti che si trovavano ancora, nel medesimo ordine e posto, dove millenni prima mani sconosciute li avevano deposti.
Vide che, sulla parete di fondo della stanza, c'era un'altra porta. Prima di tentare d'aprirla decise di decifrare alcune iscrizioni che, tra straordinarie figure dai colori ancora accesi, pazienti mani avevano tracciato.
«Forse scoprirò a chi appartiene questa tomba».
Prese dal suo marsupio un piccolo blocco e una matita, ed iniziò il paziente lavoro di traduzione:

«Fui uno che coltivò il grano e amò il dio delle messi;
Il Nilo mi salutava ed ogni valle;
Nel mio regno nessuno era affamato, nessuno assetato;
Gli uomini vivevano in pace per quello che io facevo; e parlavano di me».

«Sicuramente si tratta di un Faraone ma non ho ancora identificato il suo nome».
Continuò a leggere e tradurre altre iscrizioni; sembravano un elenco di consigli lasciati dal defunto al figlio, il futuro Faraone.

«Dai pane a chi non ha campi
E creati una buona fama per sempre
Ara i campi che riterrai necessari,
e trai il pane dal grano battuto sulla tua aia.
è meglio uno staio datoti da Dio
che cinquemila ottenuti ingiustamente;
è meglio la povertà nella mano di Dio
Che la ricchezza nel magazzino;
meglio un pezzo di pane col cuore contento
che le ricchezze nell'infelicità...».

«Quanta saggezza! Deve essere stato un grande Faraone, un uomo di pace, ma chi era? Quanto c'è ancora da scoprire su questo meraviglioso popolo...».
Decise di spostarsi nell'altra stanza. Prese una torcia e si avvicinò alla porta ma non poté fare a meno di leggere l'iscrizione che troneggiava su di essa:

«Solo il passo leggero della mia amata Nitocris
potrà svegliarmi dal mio sonno.
Quando lei tornerà a me
passeggeremo nel giardino
che ho riempito di fiori e di tutte le dolci erbe odorose
e la sua mano riposerà nella mia
con la mente ed il cuore gioioso
perché passeggiamo ancora insieme.

Non turbare il mio silenzio
perché attendo d'udire la sua voce
e la mia vita tornerà nell'ascoltarla».

«Strano... anche questa non ha i sigilli...».
La porta si spalancò dietro una lieve pressione della mano. La stanza, come la precedente, aveva tutte le pareti affrescate. In quello centrale vi era raffigurata una stupenda fanciulla che sulle rive di un fiume si toglieva i sandali forse per entrare in acque a fare il bagno, e sotto un'iscrizione che si affrettò a decifrare attratta dalla bellezza del disegno.
«Sembra lo stesso viso della fanciulla dell'altra sala, quel viso che mi ha spaventata».
Iniziò a tradurre e si meravigliò per la facilità con la quale riusciva a decifrare quei segni.

«L'amore della mia amata corre sulla riva del ruscello.
Un coccodrillo si nasconde nell'ombra.
Tuttavia io scendo nell'acqua e il mio coraggio si leva sulla corrente, e l'acqua è come terra per i miei piedi.
Il suo amore mi rende forte Ma il coccodrillo per magia la strappa al mio cuore».

In un altro dipinto si vedeva un Falco Pellegrino, con fra gli artigli un sandalo, volare verso il Faraone che, armato di lancia, sembrava camminare sull'acqua del fiume.
«Ma io la conosco questa storia – esclamò a voce alta – certo è un'antica favola Egizia, quella della bellissima Nitocris, l'antenata di Cenerentola».
L'antica leggenda è quella di Nitocris, la bella moglie del Faraone. Un mago, pazzo d'amore per lei, con un incantesimo la fa rapire, mentre si bagna nel Nilo, da un coccodrillo per trasformarla in un magnifico fiore. Il Falco Pellegrino sacro al Dio Horus, protettore del Faraone, vede tutto e afferrato uno dei sandali della fanciulla lo porta al Faraone che scopre l'inganno. Il suo struggente dolore impietosisce Horus. Il dio sentenzia che l'incantesimo cesserà se Nitocris, nel suo peregrinare, di vita in vita, sarebbe un giorno tornata a riprendersi il suo sandalo. Se l'avesse trovato, rompendo l'incantesimo, avrebbe potuto ricongiungersi con il suo sposo in eterno. Una commovente storia d'amore. «Allora quella antica favola ha un fondamento di verità? Mi sto muovendo nel regno del fantastico, dove tutto è possibile».
Non aveva più la cognizione del tempo, ma non voleva guardare l'orologio per verificare quante ore fossero passate dal momento del suo ingresso nella tomba.
Si sentiva eccitata e confusa nello stesso tempo. Aveva il viso arrossato e gli occhi accesi. Andò verso il centro della sala dove c'era un grande sarcofago.
Sistemò la torcia su un treppiede d'oro accanto al sarcofago. Sul sarcofago c'era un cuscino d'oro e, appoggiato sul cuscino, un sandalo. Lo prese con mano tremante reggendolo con delicatezza per osservarlo. «Questo sì che è un amore che sfida il tempo... ha conservato il suo sandalo...».
Avvicinò il sandalo alla fonte di luce per osservarlo meglio.
«Ma... questo sandalo... è... moderno! Ma come può essere? Questo sandalo... questo sandalo... è il mio, è mio!».
Urlò sentendosi raggelare.
«Sì! è il mio, lo riconosco dai disegni che io stessa ho fatto con lo smalto delle unghie a Parigi. è il sandalo che ho preso a...». Il suo urlo non aveva niente d'umano. Si precipitò verso l'uscita che trovò sbarrata. Lo stretto passaggio era ostruito da detriti. Iniziò a scavare con le mani, che presto iniziarono a sanguinare. Si fermò solo quando udì un grande frastuono e vide nel fondo del corridoio formarsi una nebbia che lentamente avanzava illuminata da una spettrale luce di colore verde pallido.

Si stirò emettendo una specie di muggito.
«Basta! Per oggi ho scritto anche troppo. Ora ho bisogno di bere qualcosa di fresco. Continuerò domani, se ne avrò voglia, tanto di lì Nitocris non scappa» sorrise quasi sadicamente.
Chiuse il piccolo computer portatile dopo aver salvato quanto aveva scritto, come gli avevano insegnato e raccomandato di fare, e si diresse verso la cucina.

«Un buon bicchiere di vodka-tonic non me lo leva neanche il Faraone», tornò a sorridere mentre armeggiava intorno al frigorifero.

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