19° Premio Trofeo Penna d'Autore: 3° premio - Sezione Racconti: Arianna Biavati "Una giornata di sole"

 

SEZIONE B: RACCONTI - FIABE - NOVELLE
TERZO PREMIO
 
ARIANNA BIAVATI di Imola (BO)

UNA GIORNATA DI SOLE

Lento, senza fretta, il dito traccia in silenzio segni sulla sabbia. Il capo chino, l’uomo accovacciato a terra sembra ignorare il brusio inquieto che percorre la folla accalcata, le pietre strette dalle mani, la donna ansimante al centro, imprigionata dal cerchio degli uomini.
Sì, l’uomo lo sa, se lo chiederanno per millenni. I segni sulla sabbia. Niente di fantasioso, in realtà. Aveva bisogno di scaricare la tensione. E poi… non sono altro che segni sulla sabbia, gli uomini; oggi ci sono, domani sono scomparsi. Eppure, eccoli qui: tutto questo odio, tutta questa rabbia.
Aveva bisogno di non guardarli. Aveva bisogno del silenzio. Non lo avrebbero ascoltato, se si fosse messo a discutere. Non dovevano comprendere con la testa, non doveva capire solo qualcuno, mentre qualcun altro rimaneva nel dubbio. Dovevano sentire. Tutti, col cuore, nello stesso momento.
Quel poco che aveva da dire dovevano sentirlo bene, doveva rimbombare nelle coscienze. Anche solo per quell’unico istante delle loro vite, ma era importante.
Per lui era importante, non per loro. Solo un’altra donna vittima della loro giustizia. Quante ce n’erano già state, quante altre ce ne sarebbero state…
Una fra tante, senza importanza.
Per lui era importante.
Lei era importante.
Solo lui, tra lei e loro, tra lei e l’odio, tra lei e la giustizia ingiusta degli uomini retti.
Così, nell’attimo di silenzio seguito alla domanda, aveva detto quelle poche parole: chi è senza peccato… Poi il silenzio, di nuovo. Un lungo minuto di silenzio. Il minuto più lungo della sua vita. Fino a quel momento, almeno.
In questo silenzio, lo sentite il battito del mio cuore? si chiede. Sentite quanto mi batte contro le costole, quanto mi fa male?
Perché neanche lui comanda alle coscienze degli uomini, non decide per loro. Non sa se la parola gettata nel silenzio arriverà dove deve arrivare. Non sa se ci sarà qualcuno abbastanza stupido o abbastanza cattivo. Per cui aspetta, nel silenzio abbassa lo sguardo a terra e ricomincia a tracciare segni sulla sabbia. Il minuto più lungo della sua vita, e in quel minuto, la sabbia sotto le sue dita si riempie di immagini.
Un altro tempo, un altro luogo, altre persone; diverse, ma sempre le stesse. Le stesse parole, lo stesso odio, lo stesso giudizio.
Una giornata di sole, un ragazzino al mercato col babbo, Giuseppe il carpentiere. Cammina leggero tra i colori e la luce, i suoni e le voci.
Dalla piazza in fondo alla strada ora le voci si coagulano in un mormorio cupo. Il ragazzino sente, senza vedere. Il cuore si oscura.
Anche il babbo se n’è accorto. Cerca di allontanare suo figlio, come altre volte ha già fatto. Vieni via. Si inventa nuove commissioni lontano da lì.
No. Devo andare.
Il richiamo del babbo lo raggiunge mentre corre veloce e i sandali sollevano la polvere della strada, ma oggi non ubbidisce.
Raggiunge i margini della calca. Non vede molto, ma sente. Vede solo le ultime pietre volare nel cielo luminoso. Le sente ricadere con tonfi sordi oltre il muro delle persone.
Tutto è finito. Il ragazzino si intrufola attraverso la folla compatta che ora si dirada. Scorrono attorno a lui, e lui quasi non se ne accorge. Un fiume disordinato di uomini quasi lo travolge, ma lui rimane lì, immobile. Non sente gli urti e gli spintoni.
Loro distolgono lo sguardo e voltano le spalle a ciò che è rimasto in mezzo alla piazza.
Lui no. Non può, non riesce.
Non vuole.
Congelato dall’orrore e dalla tristezza, sommerso dal dolore. Non riesce nemmeno a piangere. Non ancora.
Sente solo il rimbombo di un vento cupo, confuso al ricordo delle voci, discorsi fatti quando pensavano che lui non sentisse. Lui però aveva sentito. Le chiacchiere erano ovunque. Segreti conosciuti da tutti, da tutti falsamente ignorati, che rimanevano tali finché qualcuno non li svelava ad alta voce.
Non poteva essere davvero tanto grave. Non poteva davvero valere la vita di una persona.
Ma lei non era più una persona. Non lo era più stata, dal momento in cui l’avevano messa al centro, da una parte lei, dall’altra loro.
Forse non lo era più stata da molto tempo prima, quando tutti gli uomini sapevano quello che lei, non loro, stava rischiando. E non importava. Non era più stata una persona, per loro.
Tutto il peso dell’esistenza di lei non valeva quello del loro piacere di un’ora.
Lo travolge la rabbia impotente, quando sente le parole di chi sfila accanto a lui, voltando le spalle al lavoro ben fatto. Se l’è cercata, se l’è voluta, è stato giusto così.
Ogni parola è inumana, una coltellata nel cuore indifeso del ragazzino. Non riesce a parlare, a muoversi.
Guarda il mucchio informe di carne, pietre e sangue, poi i volti di quegli uomini. Uomini che lui conosce. Uomini che lei aveva conosciuto. Uomini che avevano fatto con lei ciò per cui lei aveva cessato di essere una persona.
Loro no. Loro sarebbero tornati, in salute, alle loro case, uomini giusti che avevano compiuto il proprio sacro dovere. Perfino ammirati, magari, e ricercati, da chi non era presente, per farsi raccontare i dettagli.
Sei qui! Il sospiro di sollievo del babbo spezza il ghiaccio. Non dovevi scappare via. Solo un attimo di arrabbiatura, poi l’uomo vede le lacrime silenziose e disperate scorrere sulle guance di suo figlio, allora si inginocchia, lo abbraccia stretto e gli accarezza i capelli.
Non esistono parole giuste da dire; al babbo il cuore batte forte, per un po’. Il ragazzino non lo sa, ancora, lo saprà quando sarà un po’ più grande, ma il babbo ha pensato alla mamma, a lei, che sarebbe potuta anche lei diventare una poltiglia immobile in fondo a una piazza, in mezzo a una folla di uomini giusti.
Il ragazzino si rende conto ancora solo in modo vago che ha imparato la compassione, dal suo babbo.
L’oscurità del ricordo scivola all’improvviso nella luce del presente.
Il dito traccia ancora segni. Gli occhi sono rivolti a terra. L’uomo non osa alzare lo sguardo finché non sente svanire lontano l’ultimo scalpiccio di sandalo sulla sabbia. Solo in quel momento si sente respirare.
Gli tremano un po’ le ginocchia, mentre si rialza. La tensione. La paura. Non per se stesso, per lei. Si possono finalmente guardare, occhi negli occhi. Passa un mondo e una vita, in quello sguardo, molto più di quanto viene detto.
Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?
Nessuno, Signore.
Neanch’io ti condanno; va’ e non peccare più.
Questa sarebbe stata la versione ufficiale.
Poi ci sono i pensieri del suo cuore. Ti prego, non farti più del male. Non c’è stata compassione questa volta, e non ci sarà la prossima. E la prossima volta io non sarò più qui a tirarti fuori dai guai.
Oggi però è andata bene. Un sorriso lieve accarezza il cuore dell’uomo, mentre alza gli occhi al cielo terso.
Oggi è una giornata di sole.

 

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