Saggistica
      
    di Michela Carella
      
    Pagine: 37
       Prezzo: 4,00 euro
       E-mail: silvio.minieri@libero.it
       Tel.: 347 4926211

     

    NOTA DELL'AUTRICE

    Questo saggio non è altro che una nuova stesura, opportunamente rimaneggiata e abbreviata, della mia tesi di specializzazione post-universitaria, presentata alla fine del “Corso biennale di specializzazione polivalente per l’insegnamento agli handicappati”, che ha avuto come relatori i professori Erminio Sbrolla e Giampaolo Menegatti, nell’anno accademico 1989-90. Per l’ampia bibliografia, di cui a suo tempo mi sono servita nell’elaborazione del testo, rimando all’originale dell’opera, custodita a Roma, presso l’Istituto della Congregazione Suore Domenicane “Ancelle del Signore”, in via Laurentina 1800.

    Roma, novembre 2005

     

    LA MINORAZIONE VISIVA

    1. Psicofisica della visione e principali patologie

    Tre sono gli elementi costitutivi dell’apparato visivo: il globo o bulbo oculare, organo di forma sferoidale alloggiato nella cavità orbitara, protetto da palpebre e ciglia e riunito dal tessuto mucoso della congiuntiva; il nervo ottico costituito da un insieme strutturale di fibre nervose, che trasmettono gli impulsi provenienti dalla membrana più interna del bulbo, cioè la retina; protetto dal tessuto elastico dello sclera, vi è l’iride di colore cangiante con al centro un foro detto pupilla, con la funzione di regolare l’intensità luminosa e la profondità di campo. Dietro l’iride, si trova il cristallino o lente, trasparente e privo di vasi e nervi. Separata dall’umor vitreo, sostanza gelatinosa e trasparente, nella parte più interna si adagia la retina, membrana sottile dove si mette a fuoco l’immagine.
    Schematicamente l’occhio funziona come una macchina fotografica, essendo composto da diversi elementi: un sistema di lenti, ossia le varie interfacie tra la cornea, l’umor acqueo, il cristallino, l’umor vitreo; un sistema di apertura variabile, cioè l’apertura pupillare dell’iride; una superficie foto-sensibile, che è la retina.
    Il sistema di lenti dell’occhio mette a fuoco l’immagine sulla retina, capovolta rispetto all’oggetto reale; avendo però il cervello imparato a riconoscere la posizione normale rispetto a quella capovolta, la mente percepisce  l’immagine nella giusta posizione.
    Le aberrazioni ottiche nell’occhio normale si possono distinguere in aberrazioni di sfericità, aberrazioni cromatiche, inconvenienti da diffrazione e cateratta. I difetti di rifrazione, quali miopia, ipermetropia, astigmatismo, possono essere corretti con l’uso di appropriate lenti. Nella funzione del cervello infine è la valutazione della distanza o percezione della profondità.
    L’agente causale delle malattie dell’occhio può essere di natura genetica e tradursi in successivi stati patologici degenerativi, come ad es. l’opacità del cristallino ovvero cateratta, il glaucoma, il distacco della retina, l’infiammazione della congiuntiva o congiuntivite. Il cristallino opacizzato può essere rimosso con intervento chirurgico e sostituito con una lente artificiale trasparente.
    Nelle patologie retiniche, una carenza di ossigeno conduce ad inevitabili retinopatie, spesso causa irreversibile di cecità. Una causa di cateratta congenita o retinopatia è la rosolia, contratta  dalla gestante entro la quarta e la dodicesima settimana, attraverso la trasmissione del virus dalla madre al feto. Una frequente malformazione del bulbo oculare è l’idroftalmo o glaucoma congenito, causa di cecità infantile. Provocano cecità le alterazioni, oltre che del globo oculare, anche delle vie di conduzione, ossia il nervo ottico ed il chiasma ottico, dovute a cause meccaniche o processi degenerativi. Infine la distruzione o alterazione di alcune aree della corteccia cerebrale possono portare a forme  di cecità totale dovute all’impossibilità sensoriale di percepire la luce o provocare altre forme d’infermità della vista.

    2. Minorazione visiva

    Tenendo conto degli aspetti medico-scientifici, si può quindi affermare che la minorazione visiva o cecità consista nell’assenza totale o parziale della vista, di quel senso cioè che consenta la percezione della luce e delle immagini. La percezione sensoriale realizzata dall’organo della vista può essere classificata in diverse componenti: percezione della luce e sua intensità; senso cromatico ovvero percezione dei colori; campo visivo ovvero percezione degli oggetti nello spazio o percezione spaziale; visione centrale o acutezza visiva; riconoscimento delle forme; senso del rilievo o senso stereoscopico; controllo psichico delle sensazioni visive.
    Quando si manifesta la mancanza di ogni qualsiasi percezione della luce da entrambi gli occhi, si ha cecità assoluta; quando si verifica l’assenza o riduzione di componenti visive, si ha la cecità relativa. In relazione ad una suddivisione schematica riassuntiva in quattro parti dell’apparato visivo, cioè retina, vie ottiche, centro corticale della visione, centro psichico, la cecità può classificarsi in quattro stati: cecità sensoriale, cecità per interruzione delle vie ottiche, cecità corticale, cecità psichica.
    Le minorazioni sensoriali dell’organo della vista, basate su concetti fisioanatomici, vengono definite cecità clinica o teorica; da questa va distinta la cecità sociale o pratica, nei casi di acuità visiva estremamente ridotta, in cui sorgono problemi giuridici d’integrazione sociale del minorato. Si può dire che la legge, nel definire i limiti della cecità, individua un minimum nella graduazione del visus. In Italia, ai sensi della normativa vigente, è considerato "cieco" il cittadino affetto da cecità assoluta e minorazione della vista fino a un decimo residuo di funzione visiva.
    Questa definizione legale di cecità serve a ricoprire l’ambito di applicazione protettiva nei confronti di una categoria di cittadini, ma ai nostri fini tiflopedagogici quello che viene in rilievo è il grado di minorazione del potere visivo, che richiede applicazioni metodologiche educative differenziate.

    3. Riflessi pedagogici della minorazione visiva

    Sotto il profilo educativo, si possono distinguere tre categorie di minorati: i difettosi visivi, gli ipovedenti, i non vedenti.
    I difettosi visivi si possono ulteriormente distinguere in due sottogruppi: soggetti che mediante sussidi ottici possono ripristinare integralmente la funzione visiva; gli ambliopi, minorati necessitanti di una tecnica d’intervento riabilitativa detta ortottica o pleottica. Per i primi non sorgono problemi speciali di apprendimento, potendosi parlare soltanto di adattamento alla protesi, gli occhiali. Per i secondi deve dirsi che un riflesso nell’apprendimento scolastico si ha nel corso del periodo in cui l’ambliope è sottoposto al trattamento rieducativo dell’occhio.
    L’ambliopia può definirsi come quella diminuzione del campo visivo, senza lesioni apprezzabili dell’occhio e non correggibile mediante lenti. L’alterazione della visione è dovuta al difettoso funzionamento degli annessi oculari o ad una strutturazione anomala dell’occhio. L’Ordinanza del 9 luglio 1964 istituì classi speciali per alunni ambliopici, inserite nelle scuole comuni, con il compito per gli insegnanti di seguire specificamente gli alunni durante il periodo del trattamento ortottica, quando rimaneva occluso l’occhio sano ed il bambino doveva sforzare l’occhio pigro per l’apprendimento scolastico. Queste classi ebbero scarsa fortuna ed in merito non si è mai definita una metodologia ben delineata.
    La seconda categoria dei minorati visivi, gli ipovedenti, può essere distinta, in relazione all’apprendimento scolastico, in tre gruppi: efficienti visivi, subefficienti visivi, inefficienti visivi.
    I primi sono in grado di utilizzare mezzi e metodi comuni alla classe ed al gruppo, senza ricorrere a metodi particolari. Per essi s’impone una vigilanza sulla stabilizzazione del residuo sensoriale di funzione visiva, sull’insorgere di effetti collaterali rispetto ad un comportamento visivo al di sopra o al di sotto della normale attività e sul regolare necessario controllo oculistico.
    I secondi, i subefficienti visivi, non superano il decimo di residuo di percezione da entrambi gli occhi. Costoro possono utilizzare per l’apprendimento scolastico gli stessi metodi della classe comune, ma necessitano di mezzi didattici differenziati, adatti alle loro esigenze.
    Gli ipovedenti inefficienti visivi sono quegli alunni, per i quali si rende necessario ricorrere non soltanto a strumenti didattici, ma anche a metodologie differenziate. Ai fini scolastici, considerando il problema sotto il profilo didattico e strumentale, questa categoria di ipovedenti può essere assimilata ai non vedenti. In proposito giova qui proporre un’osservazione che ben si adatta al tema. Da un punto di vista tiflopedagogico è proprio con riguardo all’educazione del senso estetico del fanciullo non vedente che viene a cogliersi la differenza tra i ciechi assoluti, privi di qualsiasi percezione della luce, ed i minorati della vista con residuo minimo di funzione visiva, che consente loro di percepire una seppure debole differenza tra l’ombra e la luce. In tale contesto, non appare affatto inopportuno citare il pensiero di due fra i maggiori autori di tiflopedagogia della nostra storia recente e della letteratura attuale: Augusto Romagnoli ed Enrico Ceppi.
    Ha scritto il primo: "Chiare fresche e dolci acque. Come spieghereste il primo aggettivo in una scuola di ciechi? Chiare, come il cristallo che lascia passare la luce e il colore del sole dalle vetrate chiuse di una finestra, e come quando l’aria è serena e fa udire i più tenui suoni di lontano e vedere le cime dei monti, dove pascolano le greggi belanti; o come quando l’acqua è pulita, che scorre tersa come aria tra le mani e cade sonora in gocce come perle. Ciascuno capisce ciò che può; e il resto intuisce e indovina e se ne appaga, pronto e contento di capir meglio, di rettificare poi, se nuove analogie più abbondanti e più proprie gli daranno il piacere di ampliare le sue immagini e le sue percezioni."
    Si è espresso così il secondo: "Possedere un residuo di funzione visiva anche minima, poter scorgere il sorgere del giorno, l’illuminarsi della stanza al sorgere del sole, il sopraggiungere delle tenebre notturne, percepire alcuni colori fondamentali, il bianco di una distesa di neve, o il verde intenso di un prato, anche se non si riesce a discriminare ed a riconoscere le forme, se non le più rilevanti, sono tutti fatti che giocano un ruolo di fondamentale importanza nella vita e quindi nell’educazione e nella crescita del bambino. Vi sono percezioni tenuissime di luce ed ombra, che non sono valutate dagli oculisti, né ai fini giuridici, considerandosi a tutti gli effetti il soggetto portatore di questa situazione sensoriale cieco assoluto; eppure la sua situazione è diversa. Con quanto rimpianto A. Romagnoli pensava a quel tenue filo di luce che illuminava l’oscurità della sua percezione fino ai venticinque anni: era quel tenue filo di luce che rischiarava il suo banco d’alunno, che gli indicava lo spazio di una finestra, l’arco di un colonnato nei portici della sua Bologna; era a quella tenue guida che egli riconosceva il merito della sua appassionata ricerca di un’estetica per non vedenti."

    continua

- VETRINA LETTERARIA -

 
HOME PAGE