Racconto
      
    di Antonia Izzi Rufo
      
    Pagine: 33
       Prezzo: 5,00 euro
       E-mail: antoniaizzi@virgilio.it
       Tel.: 0865 954107

     

    PREFAZIONE

    Oggi il rapporto tra i coniugi, giovani in maggioranza, non poggia su basi psicologiche solide; ci si adagia, già prima di contrarre il matrimonio, sulla possibilità di rompere facilmente il "legame" se qualcosa non dovesse funzionare. S’impone l’egocentrismo sull’altruismo, prima se stessi poi i figli.
    È il senso di responsabilità che vacilla, che viene calpestato, che - a volte - manca del tutto.
    Rotture, separazioni si verificano e si hanno anche tra gli anziani, seppur con minore frequenza. Per tali, in genere, i figli sono al primo posto.
    Mio marito ed io, sebbene gli screzi, le divergenze e le scelte differenti, abbiamo sempre avuto di mira i valori veri della vita, il senso di responsabilità dei genitori; abbiamo sempre dato la priorità alla difesa dell’unità familiare e all’educazione e serenità dei figli.
    Abbiamo considerato secondario, anche se egualmente importante, tutto il resto.
    Ecco perché, dopo cinquant’anni, stiamo ancora insieme.
    Sebbene tutto, la nostra è stata un’unione anche piacevole dal punto di vista personale, movimentata, priva di monotonia.
    Ho voluto ricordare episodi e momenti critici che hanno creato risentimenti in me, che mi hanno fatto soffrire, cosa che non tutte le donne fanno; per molte mogli i loro mariti sono perfetti sotto ogni punto di vista, gli uomini migliori del mondo. Sarà vero?… Io non ci credo

    L’Autrice

    LA MIA VITA CON TE

    Non ho mai voluto scrivere di te, non rientravi nei miei interessi, eri completamente fuori dalla cerchia delle mie predilezioni letterarie, un estraneo che non mi diceva niente, che non mi piaceva inserire negli argomenti dei miei scritti.
    Già, eravamo in sintonia, me ne rendo conto adesso:non ti ha mai sfiorato - non dico l’interesse o il piacere - la curiosità di dare uno sguardo alle mie "sciocchezze" (così le considero io), "cazzate che nessuno legge" (come le hai definite tu - senza conoscerle)

    * * *

    Erano diversi mesi che non scrivevo più:la mia vena s’era prosciugata del tutto. Le idee che cercavo non le trovavo, non le percepivo; mi sforzavo di scovarle in qualche angolo recondito della mia mente, le invitavo a venire fuori, le imploravo. Nulla. Silenzio assoluto. Vagavo in un deserto, in una necropoli. Anche se, per esperienza, sapevo che sarebbero saltate fuori all’improvviso, cominciavo a disperare, a convincermi che - ormai - nella mia faretra non v’erano più frecce, il mio tempo s’era conchiuso e dovevo, a malincuore, purtroppo, "andare in pensione"

    * * *

    Sarà questa sconvolgente serata invernale a provocare la regressione, il ritorno a ritroso nel tempo e con esso il risveglio, la fine del mio letargo, o perché i fatti rimossi prima o poi, senza l’assenso della coscienza, riemergono con prepotenza?
    Mi sento investita da una valanga di idee nelle quali ci sei sempre tu. È la storia della nostra vita insieme che mi scorre nitida davanti agli occhi stanchi, allo spirito saturo d’angoscia ma sempre proteso verso la speranza, l’azzurrità...
    Così era il tempo quella notte, come questa sera, realtà d’inverno con vento pioggia neve, freddo e folgori, buio ambiguo… Eravamo sposati da poco. Tu mi lasciavi molto spesso sola ed io ne soffrivo. Rientravi quasi sempre dopo la mezzanotte e pur sapevi che io avevo paura, non sopportavo la solitudine… Osai lamentarmi quella volta, ribellarmi, e tu m’insultasti, minacciasti di picchiarmi… Non piansi, non protestai, divenni muta.
    Aspettai che tu t’addormentassi e mi alzai, senza far rumore. Mi coprii bene e uscii di casa.
    Camminavo a passo svelto, non mi giravo indietro, non cedevo alla paura che vedevo, sentivo, mi riempiva di terrore, m’aggrediva l’anima e il cuore…
    Devo farcela, m’imponevo mentre proseguivo quasi correndo e abbracciavo con lo sguardo fisso in avanti la strada per guadagnarla, accorciarla… Volevo arrivare al paesino vicino, il mio paese, per tornare dai miei genitori… Non feci in tempo:ero quasi giunta quando avvertii (e mi spaventai in modo terribile in quanto tesa, concentrata in me, «circondata da "mostri immaginari" che non osavo guardare altrimenti sarei caduta, svenuta, certamente morta»), avvertii, dicevo, il rumore ovattato d’un’auto che mi scivolava accanto (la "Seicento") e la tua voce - preoccupata e premurosa - che m’invitava a salire…
    Mentre dormivo, e tu mi stringevi con tenerezza per dimostrarmi che mi "volevi bene" (o per timore che io scappassi di nuovo?), emettevo singulti come se avessi pianto lungamente (piansi dentro, senza lacrime).

    * * *

    Eravamo studenti. Ci conoscevamo appena per esserci incontrati qualche volta casualmente. Non facevi parte della cerchia dei miei amici, ma m’ero accorta che tu mi corteggiavi.
    Capii subito che non eri il mio tipo:eri spavaldo, spiritoso, socievole ed allegro (troppo), volevi avere sempre ragione. Raccontavi barzellette, divertivi la comitiva, me no.

    * * *

    Sai che cosa m’è mancato, che cosa non hai saputo darmi? La tenerezza, la dolcezza, la delicatezza nelle maniere.
    Anche nei momenti intimi, agivi con prepotenza, senza rispetto, eri brutale.

    continua

- VETRINA LETTERARIA -

 
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