Romanzo
di Andrea Antoniotti
Pagine: 86
Prezzo: 8 euro
ISBN 978-88-6170-013-0
 


 

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PROFILO DELL'AUTORE

ANDREA ANTONIOTTI, nato a Pavia nel 1983, è cresciuto a Gropello Cairoli, un piccolo paese della provincia di Pavia.
Ha conseguito brillantemente la maturità scientifica e poi si è dedicato a vari e saltuari lavori artigianali.
Ha sempre amato molto la lettura e da qualche anno si diletta scrivendo racconti e brevi saggi.
Ha una grande passione: viaggiare e ampliare le sue conoscenze di luoghi e persone.
Con «LE ONDE DEL CUORE», che è la sua prima pubblicazione, si è classificato tra i semifinalisti del premio Letterario Internazionale 2006 «Trofeo Penna d’Autore».

 

UN SORRISO

Erano le 23.00 e mi stavo preparando ad andare a letto.
Era lunedì e come tutti i lunedì ero andato a giocare a basket. Un’ora serrata di 5 contro 5 tra amici e, come al solito, mi ritrovavo a raggiungere gli spogliatoi sonoramente sconfitto. Il passivo quella volta era stato di 15 punti, ma avevo conosciuto anche serate peggiori. Ammetto di essermi chiesto più volte se potevo in qualche modo essere la causa di quelle ripetute cocenti batoste, ma alla fine, in assenza di una risposta scientificamente certa, avevo optato per non struggermi troppo e per pensare che un’oretta di sport in compagnia faceva sicuramente bene al mio fisico.
Come da tradizione, al termine del match, doccia calda, chiacchierando più che altro della giornata di lavoro, panino al solito bar leggendo la gazzetta dello sport, commento sull’andamento della sfida al fanta-calcio, partita a scopone scientifico con sorteggio delle coppie e classica scommessa:
"Chi perde paga i panini e le birre".
A carte sono abbastanza bravo ed anche fortunato e, generalmente, al momento dei saluti, mi congedo senza pagare, dato che chi ha perso provvede a saldare anche la mia consumazione.
Borsa in spalla e breve passeggiata fino a casa.
Ho preparato accanto al letto gli abiti per andare al lavoro la mattina seguente, mi sono lavato i denti ed ho indossato il pigiama. Fin qui tutto estremamente normale, ma è stato sufficiente un secondo e tutto è cambiato. Talvolta basta qualcosa di estremamente semplice e nel cuore si sente un sussulto violento.
Capita a tutti, mentre si vaga liberi nei propri pensieri, di essere assaliti dal ricordo di episodi particolari. Momenti importanti che hanno caratterizzato la propria crescita. Immagini estremamente personali. Magari un sorriso della persona amata oppure una carezza della mamma, magari un complimento di un amico o il superamento di un esame e nello stomaco si percepisce una stretta; ci si convince di essere grandi, ci si immagina invincibili, in grado di volare. Ci si sente animati da emozioni e sensazioni forti: si ha la convinzione di aver oltrepassato per sempre un ostacolo che da troppo tempo si cercava di aggirare…
Ho sentito il cellulare vibrare, lo avrei spento di lì a pochi secondi, non aspettavo nessun sms. Ho premuto a memoria il tasto "Leggi", non avevo pensieri e neppure idea di chi potesse essere. Fabio: «Domani torno. Sarò in aeroporto alle 17.30. Se hai voglia, puoi venirmi a prendere? Grazie. Ciao».
Ci misi un minuto a riprendermi e a formulare un qualsiasi pensiero: "Fabio? Ma quanto tempo è passato? Due settimane, forse tre." Lanciai un’occhiata furtiva al calendario. Cazzo, erano quaranta giorni. Quante volte l’avevo pensato da quando era partito? Ma sì all’inizio ne avevamo parlato tutti, ma poi basta.
Iniziai a percepire un profondo senso di vergogna crescere dentro di me. Ma come era potuto succedere? Io con Fabio ero cresciuto e lo conoscevo da almeno quindici anni. Eravamo stati compagni di banco a scuola. Avevamo fatto i compiti insieme centinaia di volte, lui mi aiutava in fisica e in matematica ed io gli suggerivo storia ed italiano. Eravamo andati in vacanza insieme per tanti anni, non so quante volte al cinema, al bowling o a bere una birra, che poi inevitabilmente diventavano due o tre. Uscivamo nella stessa compagnia, avevamo giocato nella stessa squadra di calcio. Insomma eravamo amici.
Quaranta giorni fa era partito ed in tutto questo tempo io non l’avevo mai pensato.
Mi ricordai di averlo salutato senza neppure troppo entusiasmo. Avevo ceduto, cavalcando l’onda dei giudizi del resto del gruppo, e lo avevo apostrofato e creduto matto. "Affrontare una fatica del genere non ha senso. Non ha niente di meglio a cui pensare? Sì, è un po’ impazzito. Si getta in qualcosa di folle giusto per farsi vedere grande agli occhi degli altri: non capisce di essere solamente uno stupido e pensa che questa pazzia lo renderà migliore. Già, questa tesi non serve ad altro che a confermare che è uno stupido".
Tutte queste idiozie le ho sicuramente dette o sostenute e magari, in qualche occasione, le ho anche pensate.
Passato qualche giorno dalla partenza dell’amico, nessuno al bar o in paese ne parlò più e, come tutti, anch’io smisi di pensarci.
Funziona proprio così. Fino a che vi è una novità, tutti l’analizzano, la giudicano, la criticano: passato un attimo e stabilita la tesi da sostenere, sancito chi ha torto e chi ha ragione, progressivamente ci si scorda dell’accaduto e si fa posto agli eventi più freschi e recenti.
Mi ero sempre ritenuto superiore a questo tipo di comportamenti ed invece questo episodio evidenziava esattamente il contrario. Nessuna attenuante, nessuna scusa. Ero come gli altri: un verme schifoso, che preferisce giudicare piuttosto che tentare di capire. Un pusillanime, una banderuola. È sufficiente che tutti pensino una cosa ed anch’io, piuttosto che sfidare la massa, mi uniformo al pensiero comune, a costo di sostenere argomenti in cui non credo.
Più cercavo di convincermi di essere troppo duro con me stesso, più mi veniva in mente di non valere nulla e di non essere altro che un approfittatore delle idee altrui.
Fabio se ne era andato: un mio amico era stato lontano tanto a lungo ed io, soltanto per paura di soffrire di solitudine per la sua assenza, non avevo mai pensato a lui e lo avevo considerato addirittura un povero stupido.
Ora ai miei occhi era evidente: ero io lo stupido e le cose dovevano cambiare. Il mio atteggiamento doveva essere profondamente mutato.
Non trovai modo migliore per iniziare un processo di crescita personale, che quello di partire da dove avevo iniziato a sbagliare.
Premetti sul telefonino il tasto "Rispondi": «Sì Fabio. Non ti preoccupare, vengo a prenderti io. Grazie, ho voglia di vederti. A domani…».

Nonostante la stanchezza fisica non riuscii a dormire per più di qualche ora. In testa mi ronzavano mille domande, mille dubbi, mille incertezze. Era come se avessi risvegliato una parte di me che da sempre giaceva inascoltata, ma che avevo la certezza di possedere. Qualcosa che andava oltre le apparenze, oltre la vita che conducevo. Qualcosa di forte, di vero, di puro e di sincero: non quelle abitudini costruite e dietro alle quali mi nascondevo nella speranza di sentirmi meno solo.
Con la mente rivedevo tutte le storie fantastiche lette nei libri, guardate alla TV, immaginate durante le lunghe notti estive, al suono di dolci canzoni.
Avevo sempre pensato che ad evocare certe immagini nel cuore degli artisti fossero soltanto una fervida immaginazione e una spumeggiante fantasia. Non so per quale motivo, ma ora vedevo tutto questo da una prospettiva differente. Le nobili gesta, le epiche battaglie e gli amori osteggiati mi parevano eventi reali: imprese in nome delle quali si era sofferto e magari sacrificata la vita. Immaginavo persone comuni e non più bravi attori ripresi da una telecamera. Quegli sguardi impauriti, quelle lacrime amare, quelle gesta animate da un inconoscibile coraggio. Tutto questo nel mio immaginario ora appariva vero, reale, possibile.
Come se la gente comune un giorno si svegliasse stanca della solita routine e decidesse di cambiare: di inseguire la propria felicità, di togliersi la maschera che abitualmente si indossa per superare indenni le sempre più stressanti giornate di lavoro, le angoscianti storie d’amore ormai finite, gli insignificanti rapporti con conoscenti o familiari.
Turbato ed agitato da questi pensieri, oltre che da brevi e fugaci incubi, ho spento la sveglia e mi sono alzato per andare al lavoro. Mi sentivo più stanco della sera precedente e per un secondo ho pensato di rimanere a letto. Non avrei dormito comunque e allora tanto meglio muoversi.
Forse il tornare alle solite mansioni mi avrebbe allontanato da quegli strani ed avvolgenti pensieri.
Colazione, venti minuti di macchina e sarei arrivato in ufficio. Tuttavia mi sembrava che qualcosa fosse ormai cambiato all’interno del mio essere. Mi sentivo un ragazzino che aveva conquistato un semplice, ma fondamentale traguardo; un amante che si risvegliava da una notte di sesso con la ragazza che aveva sempre sognato.
Rifiutai la meccanica azione di accendere l’autoradio, permettendo così ai pensieri di scorrere liberi. Mi pareva di essere una persona migliore: di avere un peso in meno da trasportare.
Mi sentivo come quando ci si sveglia e si capisce che è il giorno giusto. A molti sarà capitato di disperarsi per l’abbandono della persona con la quale si è condiviso tutto. Si trascorre un periodo di tristezza, ci si sente incompresi, ci si sente derubati di qualcosa che ci apparteneva, ci sembra di non poter fare a meno del partner e di non riuscire ad andare avanti da soli. Poi succede che una mattina ci si guarda attorno e si capisce che non ci interessa più!
Si ha voglia di rialzare la testa, di riacquistare la dignità: semplicemente di riprendere la propria strada.
Ebbene io mi sentivo così. Avevo appena conquistato qualcosa che mi permetteva di sognare. Che mi faceva sentire vivo: che mi riempiva il cuore di una gran voglia di riprendere a camminare da solo. Non volevo più perdere questa sensazione ed intendevo crescere col proposito di essere una persona migliore.

continua

- VETRINA LETTERARIA -

 
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