Saggio
di Angelo Ruggeri
Pagine: 135
Prezzo: 10 euro
ISBN 978-88-6170-018-5
 


 

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PROFILO DELL'AUTORE

ANGELO RUGGERI è nato il 21-12-1944 a Formello (RM), dove tuttora risiede. Ha frequentato il liceo classico alla scuola “Virgilio” di Roma e nel 1971 si è laureato in Ingegneria Civile Idraulica all'Univer-sità di Roma, vivendo in prima persona le vicende del movimento studentesco romano. Dopo la laurea ha lavorato per quasi cinque anni come Ingegnere Civile nella Repubblica del Sud Africa, e per brevi periodi in Nigeria e in Arabia Saudita. Tornato in Italia ha esercitato per qualche tempo la libera professione ed è stato anche consulente tecnico del Tribunale Civile di Roma. Nel 2004 ha pubblicato il suo primo libro di poesie «La confessione» (Casa Editrice Libroitaliano), nel quale ha narrato le sue esperienze durante il periodo della contestazione studentesca e qualcosa della sua professione di ingegnere. Nel 2005 ha pubblicato con la stessa casa editrice il libro «Le origini della poesia», dove racconta come a suo parere nacque la grande poesia italiana e le drammatiche vicissitudini cui sono andati incontro i nostri maggiori poeti fin dai primordi dell'arte.

INTRODUZIONE

Allo scoprimento del busto di Giacomo Leopardi - Discorso di Giosué Carducci - Nella grande aula del Comune di Recanati (Tratto da prose di Giosuè Carducci ed. Zanichelli 1954)

"Quod bonum felix faustumque sit": diciamo con la formola sacra di nostra madre Roma. Ecco: La imagine divina è svelata: il sole ride effuso per gli azzurri del cielo della patria: e l’anima placata del poeta ride alla patria. Quod bonum felix faustumque sit.
Signore e signori, cittadini di Recanati, popolo del Piceno, italiani!
Voi sapete che quella che oggi celebriamo non è una delle tante feste onde gli stranieri ci accusano di gratificare troppo spesso i nostri ozi quasi a compenso dei carnevali d’una volta; non è, da poi che la vostra Deputazione sopra la storia ha dalla commemorazione del vostro grande scrittore tolto provvidamente il motivo a compiere bene avviati studi intorno alla vita e alla mente di lui, a iniziare e incoraggiarne altri utilmente e durevolmente nuovi.
Ma né anche è una academia; troppe academie, oltre le feste, si fanno in Italia: né io sono orator d’academia; mi manca l’ingegno e l’abito da ciò; e la memoria dell’austero e doloroso spirito di Giacomo Leopardi me ne sconsiglia ogni prova. O Recanati, io vengo a recarti qui in semplici parole il saluto del Senato d’Italia e dell’illustre uomo che amministra la pubblica istruzione: vengo a recarti il saluto di Roma la grande e della scienza che si rinnovella da Galileo, il saluto di Bologna la dotta e della legge che rinasce con Irnerio, il saluto di Firenze la bella e della poesia che vive eterna nel nome di Dante: tre saluti che sono tre benedizioni e tre inni della gloria d’Italia; il diritto, la scienza e la poesia: a te, Recanati, e con te a cotesto grande e infelice spirito, "per la cui virtude tutto il mondo t’onora". Ma che dissi, infelice? Ormai Giacomo Leopardi è trasfigurato: non più il fosco amatore della morte che tanto patì, il cantore di cui la doglia mondiale non ebbe mai né il più vero né il più grande né il più santo: egli è uno dei geni e dei numi della patria, ed abita alto i sereni spazi del pensiero e della storia ove ed onde rappresenta e tutela l’Italia."
29 giugno1898

A me sembra di leggere in questo discorso di Giosué Carducci alquanta ironia, giustificabile per la cattiva abitudine che hanno gli italiani di onorare da morti coloro che hanno offeso da vivi. E certamente Giacomo Leopardi fu offeso durante la breve vita.
Perciò io penso che il modo migliore di onorare la sua memoria sia quello di toglier via dalla nostra cultura quanto di falso gli è stato attribuito, facendo conoscere al pubblico oltre che la bellezza della sua poesia, le sue vere idee nel campo della politica e della filosofia, ed anche le ragioni più vere e profonde della sua infelicità.
Per questo fine io ho scritto questo libro, al quale per essere meglio comprensibile, ho dato la forma di un dialogo fra me, lo scrittore e un’amica ammiratrice del Leopardi.

 

"Angelo, puoi interrompere per qualche giorno il tuo lavoro? Ho bisogno del tuo aiuto"
"Volentieri, se posso aiutarti, tu sai qual era il maggior dispiacere di Giacomo Leopardi? Di non aver potuto fare il bene. Lui voleva questa iscrizione sulla sua tomba: "Non fece il male perché non volle e il bene perché non potè".
"Tu metti tutto sul drammatico, ma non è gran cosa quella che ti chiedo e nemmeno tanto importante, è una soddisfazione che mi voglio prendere. Sto riordinando la mia casa in questi giorni e fra le vecchie cose ho rintracciato una mia tesina che feci per gli esami di maturità, uno studio su Giacomo Leopardi ed in particolare sulla sua poesia "La ginestra". L’ho riletta, mi è sembrata attuale..."
" Cosa, la poesia o la tua tesina?"
"Tutte e due, la poesia è bellissima, il mio commento è quello che ci si può aspettare da una ragazza che esce da una scuola tecnica. Mi piace però e col tuo aiuto vorrei rivederlo e completarlo. Questi lavori giovanili sono sempre bei ricordi che una si porta appresso."
"Sabina non mi meraviglio che ti piaccia Leopardi, c’è in te un fondo di malinconia che qualche volta traspare dagli occhi improvvisamente tristi. Non voglio indagare nei segreti del tuo cuore. Il lavoro che tu mi proponi piace anche a me. Da cosa cominciamo?"
"Dalla lettura della poesia ovviamente."

La Ginestra o il fiore del deserto

Qui su l’arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null’altro allegra arbor né fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti. Anco ti vidi
de’ tuoi steli abbellir l’erme contrade
che cingon la cittade
la qual fu donna de’ mortali un tempo,
e del perduto impero
par che col grave e taciturno aspetto
faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
lochi e dal mondo abbandonati amante,
e d’afflitte fortune ognor compagna.

Questi campi cosparsi
di ceneri infeconde, e ricoperti
dell’impietrata lava,
che sotto i passi al peregrin risona;
dove s’annida e si contorce al sole
la serpe, e dove al noto
cavernoso covil torna il coniglio;
fur liete ville e colti,
e biondeggiar di spiche, e risonaro
di muggito d’armenti;
fur giardini e palagi,
agli ozi de’ potenti
gradito ospizio; e fur città famose
che coi torrenti suoi l’altero monte
dall’ignea bocca fulminando oppresse
con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
una ruina involve,
dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
i danni altrui commiserando, al cielo
di dolcissimo odor mandi un profumo,
che il deserto consola. A queste piagge
venga colui che d’esaltar con lode
il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
è il gener nostro in cura
all’amante natura. E la possanza
qui con giusta misura
anco estimar potrà dell’uman seme,
cui la dura nutrice, ov’ei men teme,
con lieve moto in un momento annulla
in parte, e può con moti
poco men lievi ancor subitamente
annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
son dell’umana gente
“le magnifiche sorti e progressive.”

continua

- VETRINA LETTERARIA -

 
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