Poesie di Bruno Amore
   Pagine: 37 
   Prezzo: 5,00 euro
   E-mail: brunoamore@alice.it

 


      L'anima
      Il quotidiano, come vento d’alta quota,
      freddo, furibondo, ti sfilaccia l’anima
      come fazzoletti preghiera tibetane, e
      l’onestà, la fedeltà, le intenzioni:
      filamenti di seta, cotone o lana caprina,
      s’impigliano sugli spini dei rovi 
      che il vento attraversa indenne.
      Frammenti di esistenza che 
      garriscono per qualche tempo
      poi si perdono. A volte li recuperi 
      per esperienze nuove, brevi, 
      riconoscibili, mai più vergini.
      Diuturnamente, vivi a inseguire 
      gli scampoli, riagguantarli da laggiù, 
      ricomporli prima dell’ultimora, per
      presentarLa dignitosa se non intonsa.
      Gratificazione è la meta o la speranza 
      di salvezza. L’una, ambìto paradiso 
      coranico, di eburnee urì e latte e miele,
      bisogni sognati, soddisfatti mai.
      L’altra, assoluzione perpetua della vita.
      Alleviano il pulsare incessante delle tempie.

      Il custode della paura
      Per un tempo lungo una malattia
      quando non ho più sentito il calore 
      della mano che teneva la mia
      ho temuto d’esser solo
      così d’improvviso.
      Ho cercato il tuo sguardo
      anche se mai rassicurante, tenero 
      incoraggiante, alfine però presente 
      ma era spento. 
      Gli occhi fissi, polverosi, rivolti 
      verso la linea dell’orizzonte
      appena segnata di bruma
      rifiutavano dire alcunché 
      erano puntati altrove, ben oltre. 
      Non ho più tempo per ripartire 
      il via è laggiù lontano, una vita intera. 
      Il traguardo, allestito sulla parte più alta
      di questa, ho difficoltà a raggiungerlo 
      come vorrei.
      Tu amico/nemico che da sempre
      mi assilli, pungolo critico, ansiogeno
      ma espiatorio, mi lasceresti davvero
      prima della fine del viaggio? è forse
      segno che il resto posso farlo senza te? 
      che sono adulto, ormai?

      Lucean le stelle
      Guardo, la volta non è stellata,
      soltanto alcune più luminose e
      m’immalinconisce questo difetto.
      Amo il cielo come luogo dalle mille luci, 
      per mille e mille domande spedire, 
      risposte non avere e altre più cogenti 
      elaborarne. Salgo  in luogo alto a
      superare le torbide foschie
      che inibiscono la trasparenza;
      qui staziona un miasma gravido 
      di polveri pesanti, inetto a sparire.
      Quassù, prima che la sfera celeste
      mi prenda, appare surreale espandersi
      un firmamento di luci artificiali,
      a perdita d’occhio, planetario. 
      Fioche o brillanti, fisse e in movimento, 
      gire e rivenire in fiumi rosso, arancione, 
      bianchi, con code fluorescenti ondivaganti, 
      d’ottica illusione. Manda verso il cielo
      un’aura luminosa quasi d’alba, 
      che offusca la luce delle stelle, 
      la predomina. Le nere alture disegnano 
      il profilo inquietante di animali acquattati
      a definire l’orizzonte; le torri abitate alte 
      punteggiate di luci, simili a piedistalli 
      infissi nello spazio, sembrano sostenere 
      il braciere luminoso che irradia l’etra.

    - VETRINA LETTERARIA -

     
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